GRESSANI IL NUMERO 1

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Lo striscione che i tifosi gli hanno dedicato per ringraziarlo è lì, a fianco della porta verso il chiosco. Non sappiamo se la scelta di metterlo in quel punto sia stata casuale. Di certo quella porta, per Massimo Gressani, ha un fascino ed un significato particolare. Il perché ce lo facciamo dire da lui: «Dietro quella porta mi mettevo da ragazzino per studiare da vicino i movimenti, i gesti e tutto quello che facevano i portieri» dice Massimo, alla penultima (ultima in casa) partita in casa della sua carriera
Evidentemente sei stato un buon osservatore, gli facciamo notare, vista la straordinaria storia che poi ha vissuto. Trenta anni di vittorie, premi, apprezzamenti, soddisfazioni ed una credibilità sia da uomo che da calciatore.
«Credo di aver sempre dato il massimo e di averlo fatto con tutto l’impegno possibile. Una carriera si costruisce non solo sulle grandi parate, ma anche con la serietà e con la voglia di migliorarsi, sacrificando, a volte, anche qualcosa di sé stessi».
Quello che non sembrano disposti a fare tanti giovani protagonisti del Carnico attuale. E tu proprio questo hai sottolineato di recente …
«Io credo che ognuno si libero di affrontare gli impegni come meglio crede, nella maniera che gli sembra più giusta. Io non critico nessuno, né voglio fare moralismo: dico solo che io la vedo così».
Ma se per 30 anni sei stato uno dei protagonisti di questo ambiente, evidentemente è un modo giusto di vedere le cose. Non è che tra i motivi della tua scelta ci sia anche un po’ di delusione per questa poca serietà?
«Diciamo che per uno che ha interpretato la vicenda agonistica per come l’ho interpretata io non fa piacere un certo tipo di atteggiamento. Il motivo che però mi ha spinto verso questa decisione è che dopo tanti anni sono un po’ stanco. Fisicamente sono a posto, anzi credo che quella che sta terminando sia stata una delle mie stagioni migliori».
E allora perché devi riporre i guanti?
«Perché è giusto lasciare da protagonisti, in modo che tutti conservino di te un buon ricordo. Che senso ha mollare quando non ce la fai più e dare di te un’immagine in qualche modo distorta, offuscata: è un questione di dignità, tutto qui».
Ci sono stati momenti brutti nella tua carriera?
«Se parliamo di risultati non saprei dire: vittorie e sconfitte fanno parte del gioco e quindi si susseguono senza darti il modo di poterli fermare nella memoria. I momenti brutti sono stati tutti quelli in cui mi è toccato assistere ai gravi infortuni subiti dai miei compagni e dai miei avversari. L’infortunio di Valerio Sandri a Cavazzo, quest’anno, ce l’ho ancora davanti agli occhi».
Ma ci sarà stato un momento, in tutti questi anni, che conservi più gelosamente nel tuo libro dei ricordi?
«In effetti uno c’è: la finale di Coppa Carnia vinta ai rigori contro il Real, con una mia parata decisiva per la vittoria. E il bello è che il rigore decisivo lo parai a Luca Berti, uno che ora gioca nel Villa: senza saperlo, insomma, avevo vinto il primo derby …».
A chi ti senti di dire grazie?
«A tante persone, tutte quelle che hanno creduto in me e a tutti i miei allenatori, perché da ognuno di loro ho imparato qualcosa. Se devo fare dei nomi, però, non posso non ricordare quelli che considero i miei maestri e cioè Zagaria, Forgione, Canci e Leonardo Cortiula».
E gli attaccanti che più ti hanno impensierito?
«Premesso che ho sempre avuto molto rispetto per tutti, credo che i più temibili siano stati Vidoni, Granzotti, Moro e Radina: ognuno con le loro caratteristiche ma con in comune la capacità innata di “vedere” la porta».
E c’è tra i giovani quello che potrebbe essere il tuo erede?
«Segnatevi questo nome: Manuel Ferrari».
Cosa dire, Massimo. Per me sei stato il miglior portiere che ho visto giocare nel Carnico, ma di te ho sempre apprezzato il buon senso, la misura, quel dare alle cose il peso che meritano e mai una polemica, mai un gesto sopra le righe. Ci sono tanti modi di essere un numero uno e tu li hai interpretati tutti. Il Carnico perde un protagonista ed una persona per bene, mica poco. Chissà, potresti anche ripensarci … Magari pedalando (la tua nuova, grande passione) passerai vicino ad un campo sportivo e ti fermerai a guardare una porta. E che fai, mica puoi lasciarla lì, indifesa. Ciao, Massimo e grazie di tutto: raccontare o scrivere delle tue parate è stato un privilegio, almeno per me, Anzi, sai cosa ti dico: che se ci ripensi facciamo un’altra intervista. Cosa dici?

4 Comments

  • Posted 28 Settembre 2014 08:41 0Likes
    by Maria

    Massimo (DC) come al solito grande come d’altronde si merita il grande Gress.
    Maria

  • Posted 28 Settembre 2014 15:07 0Likes
    by Daniele Candido

    Un addio, quello di Massimo, sicuramente triste ma consapevole…una perdita per l’intero movimento pesante come un macigno…ed una certezza, quella di “perdere”,calcisticamente parlando, un grande ne.1!!!!
    Ora ti chiameremo Mister;)
    Ottimo articolo Massimo DC!!!!

  • Posted 29 Settembre 2014 13:04 0Likes
    by Vince

    Che dire???? Chapeau a Massimo che oltre ad un gran portiere è prima di tutto una persona con la P maiuscola.
    Felice di esserti stato avversario ma soprattutto compagno e penso amico.
    In bocca al lupo per il tuo futuro alla Girardengo 🙂
    Vincenzo Radina

  • Posted 2 Ottobre 2014 16:27 0Likes
    by rino

    dopo le riflessioni di Di Centa c’è poco da aggiungere sul Gres , a nome del Ceda lo ringrazio per quello che ha fatto e farà… personalmente lo ritengo un tassello pregiato della mia vita calcstica e umana .-

    grazie Rino .-

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