Battista Moro, classe 1948, è arrivato nel Carnico col suo fardello di grande futuro … dietro le spalle. Nel senso che ha solo sfiorato il calcio professionistico “importante”, annusandolo da vicino, senza però riuscire a viverlo come invece sembravano lasciar intendere le premesse. Il calcio è entrato presto nella vita di Battista. Quando infatti papà Bruno morì lui era giovanissimo e la mamma pensò di mandarlo al “Tomadini”, storico collegio di Udine, con indirizzo ragioneria. Ma più che ai bilanci ed alla contabilità, il ragazzo si appassionò al calcio, trascinando la squadra dell’istituto a vincere campionati giovanili in serie. Lui se la cavava piuttosto bene, tanto che qualche talent scout locale scomodò gli osservatori di Savona, Milan ed Inter. E fu proprio la società nerazzurra ad avere la meglio: Giuseppe Meazza (sì, proprio lui!) venne a Udine a vederlo un paio di volte e se lo portò a Milano. Battista aveva 15 anni e si ritrovò all’improvviso nel calcio “vero”. Dopo le stagioni nelle giovanili, arriva il momento della convocazione in “Primavera” e nel campionato “De Martino”. Questo in origine era un torneo riservato alle squadre di serie A in cui le stesse potevano utilizzare i giocatori di riserva scarsamente impiegati in prima squadra o titolari reduci da infortuni e bisognosi di riprendere il ritmo partita. Ma era anche l’occasione per i migliori giovani del vivaio per proporsi al pubblico, per farsi conoscere, per giocare, magari con qualche più illustre compagno, senza dover subire troppo l’emozione dell’esordio e il peso delle responsabilità. Questi due tornei gli spalancarono le porte per la chiamata della prima squadra: fu convocato per il precampionato, dove giocò da titolare anche due amichevoli con Torino e Vicenza. E lui era anche a Vienna, aggregato alla comitiva della squadra di Herrera che il 27 maggio 1964 conquistò la prima Coppa dei Campioni dell’Inter, sconfiggendo il Real Madrid in finale.
Insomma, la prima squadra era lì, ad un passo, ma il destino stava per giocargli un brutto scherzo: durante un allenamento, infatti, in un contrasto di gioco fortuito con un compagno di squadra, Moro colpito al volto da un calcio riportò la frattura di mascella e mandibola. Il compagno, ironia della sorte, si chiamava … Scarpa e vengono i brividi a pensare cosa sarebbe potuto succedere al volto di Battista se si fosse chiamato … Stivale! Le terapie di allora naturalmente non garantivano risultati in tempi brevi e inoltre, vista la particolarità dell’infortunio, il nostro aveva grossissimi problemi per alimentarsi. Per un anno andò avanti a prosciutto crudo, fatto a pezzetti piccoli piccoli. In un anno Moro perse molti chili e soprattutto il tono muscolare. Dopo 18 mesi poté riprendere l’attività agonistica, ma si rese subito conto che ormai il treno, quello giusto, era passato e lui era dovuto scendere! Ebbe però la forza di sapersi riciclare nel calcio minore, mettendoci sempre lo stesso entusiasmo e la stessa voglia di sacrificarsi in allenamento: Manzanese, Verbania (in serie C), Gemonese e Arteniese furono le tappe della sua carriera. In un campionato, quando era a Manzano, decise la sfida col Tolmezzo sia all’ansata che al ritoro, siglando in entrambi i match l’1 a 0 finale. In Carnia non la presero benissimo e fu così che un dirigente tolmezzino, per vendicarsi, sparse la voce (diventata poi una specie di leggenda) che Moro all’Inter fallì per problemi legati alla bella vita o, se preferite, non propriamente una vita da atleta. Niente di tutto questo, perché la causa, come abbiamo visto, fu lo … scarpino di Scarpa! Nel frattempo, d’estate, Moro partecipava come prestito ai torni estivi che pullulavano in Carnia vestendo la maglia dei Mobilieri, la squadra del suo paese. Fu solo l’antipasto di quello che a metà degli anni 70 diventò il suo campionato, ovvero il Carnico. Anche nel nostro torneo mise in luce le doti che lo avevano portato alla sogli (e anche un po’ oltre) del calcio professionistico: tecnica discreta, buona padronanza di tutti i fondamentali e soprattutto il fiuto del gol, una caratteristica che non si allena ma che è dentro i cromosomi dei bomber di razza. Era il classico centravanti da area di rigore, quello che è sempre al posto giusto nel momento giusto quando si tratta di mettere il pallone in rete. Ha saputo calarsi nella mentalità del Carnico con grande intelligenza e ha dato vita a bellissimi duelli coi difensori dell’epoca: indimenticabili le sfide in punta di bulloni con Gianni Linossi (difensore della Moggese che lo martoriava, dice Battista) e Fiorenzo Scarsini. Poi, l’ultimo anno di calcio giocato, a Paluzza, dove approdò per fare un favore ad Angelo Ortobelli o forse per rendere omaggio ai colori nerazzurri, i colori di un sogno andato vicinissimo ad avverarsi …
4 Comments
by loris rassati
un grande saluto al Battista
by maurizio
Grande batti grandissimo giocatore e persona
by Matteo
Chi è secondo voi il più grande giocatore nell anno 1980-81
by Manuele Ferrari
Grande Battista. Impossibile non riconoscerti tutta la Tua classe in campo e di grande Uomo nella vita. Che sicuramente un piu’ grande palcoscenico calcistico avrebbe meritato. Un cordiale saluto. Mandi. Titta. A presto. Manuele Ferrari
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