Manfredi Matiz, classe 1964. Nel suo caso però la parola “classe”, assume non solo il significato dell’anno di nascita ma forse più concretamente un modo di vivere, in campo e nella vita. Eh sì, perché Manfredi (ma tutti lo chiamano Manfred, chissà perché? …) la classe l’ha mostrata in campo nell’eleganza del gesto tecnico di attaccante di livello sopra la media, ma anche nella quotidianità del suo lavoro: infatti chiama “classe” tutti i clienti del suo bar indipendentemente dall’età effettiva. Forse per un intercalare diventato ormai un’abitudine o forse perché, inconsciamente, non sa darsi lui stesso un’età precisa. Lui è il tipo che si trova bene con tutti, a fare la differenza non è insomma l’anno di nascita, ma piuttosto, a volte, le lune di un carattere che nasconde qualche ombra dietro un sorriso a portata di bocca. Si diceva del suo bar, a Paluzza, un tempo covo di interisti, quando erano in pochi ad avere l’abbonamento alla pay tv ed allora se eri dell’Inter andavi da Manfred come andare a San Siro. Ora, con Sky arrivata in molte case c’è meno tifo e nel suo bar ci si va per i commenti post partita o per ricordare quell’episodio, quel gol, quell’azione … E tra i ricordi del “triplete” e il mercato dei cinesi spunta fuori anche il suo calcio, quello che lo ha visto protagonista. Una carriera cominciata nel Tiamucleulis, squadra del suo paese d’origine, dai pulcini agli allievi, prima di approdare, da allievo, appunto, al Tolmezzo, dove restò per ben 10 anni, con l’esordio in prima squadra a 18 anni, in serie D, in un match casalingo vinto per 3 a 2 contro il Belluno grazie anche ad un suo gol, sottolineato da Carletto De Monte (il top dei cronisti dell’epoca) che raccontò meraviglie di questo “bocja Matiz”. L’esordio con gol sembrava il preludio ad una vicenda agonistica in cui le reti messe a segno avrebbero dovuto fioccare. E invece non è andata proprio così, perché Manfredi non ha mai segnato tantissimo, ponendosi come un precursore di quel tipo di attaccante che più che finalizzare il gioco della squadra, gioca in funzione di questa. Dopo Tolmezzo, un passaggio nel Treppo Grande e poi eccolo nel Carnico, con doppio viaggio di andata e ritorno da Arta a Paluzza, dove poi avrebbe appeso le scarpe al chiodo. Faccia da figurine, gambe storte e baricentro basso: il prototipo del calciatore, insomma, arrivato nel calcio della montagna con la fama che si era fatto nel calcio regionale. Anche nel Carnico conservò le sue caratteristiche, giocando per la squadra senza l’ossessione del gol ad ogni costo. Se gli domandate quanti gol ha fatto nella sua carriera, vi risponderà: “Un discreto numero, ma non li ho mai contati, perché le reti messe a segno sono servite per la squadra, non per le statistiche”. Quello che ha sempre curato, invece, è stata la tecnica: una specie di “fissazione” inculcatagli da quello che per lui resta l’allenatore più importante che ha avuto: Renè Matiz. Renè allenava i pulcini del Timaucleulis e non ha mai fatto correre i ragazzi, non ha mai imposto loro quei giri di campo ossessionati, ma lavorava sempre col pallone, pretendo la precisione del gesto, nello stop, nel passaggio e nel trattare la palla. La cura dei fondamentali, insomma, che Manfredi ha sempre privilegiato. Nel Carnico ha fatto soffrire molti difensori, ma con 2 ha detto di aver sempre avuto vita dura: Andrea Farinati dell’Arta e Poiazzi della Velox, due sempre concentrati e quasi impossibili da saltare, tanto che quando tornò ad Arta fu felicissimo di avere Farinati come compagno e non più come avversario. Il compagno ideale? Max Martina, col quale proseguiva in campo un’intesa ed un’amicizia iniziata sui banchi di scuola: erano talmente affiatati che uno conosceva i movimenti dell’altro, intuendo quando tagliare, quando affondare o quando fare sponda.
Gli aneddoti sono tanti ma sfumano nei ricordi, perché a dispetto di una storia calcistica molto gratificante il pensiero più nitido e scomodo è quella panchina che negli ultimi anni gli imposero i suoi allenatori. Le esclusioni dagli 11 iniziali evidentemente erano il segnale che il tempo che passa non fa sconti nemmeno a quelli più bravi e quando Giovanni Zagaria, al tempo allenatore del Paluzza, lo sostituì nell’intervallo di un Paluzza – Arta, Manfredi non la prese bene, perché appena gli venne comunicato il cambio negli spogliatoi, scagliò in aria la borsa, salvo poi chiedere immediatamente scusa. Il tempo che passa ha lasciato segni anche sulle su caviglie martoriate, talmente malridotte che qualche anno dopo il ritiro ha dovuto operarsi al “Rizzoli” di Bologna (la clinica dei calciatori, naturalmente …) per riacquistare un minimo di funzionalità. Molto peggio poteva andargli qualche anno dopo, quando gli si ruppe l’aorta nel tratto intestinale: è stato per tanti giorni tra la vita e la morte, poi, pochi minuti prima della fine (ma la fine vera …) ha segnato il gol più bello, riprendendosi la vita. I suoi gol: non molti, ma sempre importanti. Vero, “classe”?
5 Comments
by loris rassati
Un ricordo semprevivo di lui é in casa di Luca Battaion anni della ProTomezzo di Luciano Adami quando ne è uscito con la sua frase più esilerante : To sûr a mi merita! mandi Manfred .
by roberto copetti
ciao manfred sei stato un ottimo compagno nella pro tolmezzo bei tempi spero di vederti presto ciao roberto copetti
by Manuele Ferrari
A Manfred, anche da parte mia un cordiale saluto e la stima sincera, più che meritata, sia come giocatore che come uomo. Ricordando e rimpiangendo quei bei Tempi.
Mandi. A presto. Manuele Ferrari
by Stefano
Piç grande calciatore e persona squisita…..bellissimo giocarci assieme, movimenti da grande attaccante , faceva la fortuna della prima punta che ci giocava affianco perché lui era un altruista e ti metteva i palloni su un piatto d’argento….solo da insaccare;ho trascorso degli anni bellissimi nell’Arta di quegli anni 90 dove giocava anche quello “squilibrato” di Max!!!!Fuori dal campo un vero spasso….quante serate….in quegli anni gestiva ancora la Tavernetta….ricordi bellissimi….mandi vecjo Friul!!!!Stefano
by Mauro Tedeschi
Grande Manfredi. Compagno di asilo e di elementari. Tante partite insieme nei prati, attaccante di razza fin dal primo giorno. Ricordo la mia prima partita nei pulcini del Paluzza contro il TimauCleulis a Timau, lui era una freccia. Gli devo il mio tifo interista, ma a volte non so se ringraziarlo 🙂
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