di MASSIMO DI CENTA
Negli ultimi giorni ho chiesto spesso di te. E la risposta che mi dava Lino (molto più di un semplice amico per te) era sempre la stessa: “Finché regge il cuore… “.
Se fosse per quello avresti potuto vivere ancora un’altra vita. Perché il tuo cuore era un cuore speciale, che ha battuto per mille emozioni: un gol da raccontare, il brivido che dà osservare le montagne del tuo mondo e il palpito, quello vero, quello autentico dell’amore.
Già, l’amore. Quell’amore che hai raccontato nelle tue poesie, che hanno avuto sempre la stessa forza, perché gli anni che hai vissuto ti avranno imbiancato i capelli, ti avranno fatto avvertire l’usura del tempo, ti avranno reso magari più saggio, ma non sono riusciti a spegnere quella tua eterna giovinezza. Perché sei rimasto giovane. Giovane dentro. Hai sempre saputo raccontare e raccontarti con l’entusiasmo dei vent’anni. Perché ci vuole entusiasmo anche a raccontare i fallimenti, le delusioni e le sconfitte. Le gioie, i lampi di felicità, quelli li sanno esprimere anche le persone aride.
Se dovessi definirti come poeta, direi soltanto che sei stato il poeta dei giorni normali. Quello che racconta le pene, gli affanni, gli attimi veloci che dura lo stare bene di ogni giorno. Perché raccontavi le cose di ogni giorno. Quelle che succedono alle persone normali. Non hai celebrato eroi, non hai esaltato imprese. No, Eligio, hai saputo trasmettere dal cuore al foglio di carta bianco una solitudine interiore difficile da intuire per chi ti vedeva compagno di festose baraccate. Ma semplice, molto semplice, per chi magari ti assomigliava un po’ e vedeva la tua solitudine interiore come in uno specchio, quel tuo sentirti solo anche in mezzo alla baldoria più assordante dei tuoi amici più cari.
Il calcio, l’amore, la natura, i cani questo hai raccontato, in poesie spesso senza titolo, perché i sentimenti e le emozioni non hanno bisogno di essere introdotti: sgorgano così e racchiuderli in un titolo significherebbe ridurne la portata, catalogarli, in qualche modo, in argomenti. E invece non c’era ordine nei tuoi pensieri, ma solo la voglia che uscissero a raccontare l’anima. La tua.
Di te mi restano i tuoi libri, i tuoi ricordi, le serate passate insieme. Ma mi resta anche un rimpianto che adesso è diventato un rimorso e che da oggi mi porterò dentro per sempre. Da mesi mi invitavi a casa tua, per la tua minestra di fagioli e per il tuo frico: “Niente di che – dicevi – è solo per passare una serata. Una serata con te. Perché siamo simili, io e te.”. Niente di che? Il tuo frico e la tua minestra di fagioli erano anche loro poesie. Perché anche quelle le facevi col cuore, un ingrediente che non trovi in nessun ricettario, fidati…
Ecco, non ho più trovato il tempo di venire nella tua casa di Forni. Ed ora questa cosa è dura da sopportare. “Ci vedremo, dai” ti dicevo, convinto che prima o poi un’occasione l’avremmo trovata. E invece no, non l’abbiamo trovata e questa cosa, ora, mi stringe il cuore e mi fa un male assurdo.
Mi mancheranno le tue telefonate settimanali, i tuoi messaggi sul telefono.
Adesso riposa, amico mio, lascia che quel cuore che tanto ha amato, battuto, sofferto, scandito emozioni trovi un po’ di pace. Noi, che siamo rimasti qua, lo sentiamo amare, battere, soffrire, scandire emozioni nelle cose che hai scritto. Ci lasci una grande eredità ed un privilegio: quello di averti conosciuto e di aver percorso insieme qualche chilometro di vita.
Ti abbraccio. Forte. E ti ringrazio: avermi detto di essere simile a te è semplicemente un onore.
I funerali di Eligio Nassiver avranno luogo martedì 16 luglio alle 14.30 a Forni di Sotto