di GIORGIO PETTERIN*
Fisico rupestre. Pasciuto. Pesante. Allegro e divertente. Genuino e autentico. Angelo Spiluttini raggiunge il traguardo delle 200 panchine nel Campionato Carnico. La sua marcia di Radetzky: dalla prima, domenica 12 luglio 2009 Ardita-Amaro 0-2 (subentrato al dimissionario Silvano Frassinelli) a Lauco-Stella Azzurra 1-0. Marcia vitale, esistenziale, biografica. Che è cronaca, ma anche viaggio e racconto.
È un frullato di pensieri, un caleidoscopio di colori e dolori, una centrifugata di sogni, voglie, desideri, speranze, sensazioni ed emozioni. Urlanti, esuberanti, contestanti, brontolanti. Arricchite da più o meno onorevoli vittorie, da più o meno onorevoli sconfitte, da trionfi conquistati in dieci stagioni di passione, orale, vocale e scritta, e autocertificati con assoluta certezza. Dieci stagioni anziché undici, perchè Angelo si prese una pausa (2017): per la famiglia, quella che ha costruito, con Michela, la compagna, e Agnese, la figlia. Ma il Carnico per lui è passione se non addirittura amore. Patrimonio comune, album di famiglia.
Il Carnico come motore di ricerca, come ricerca di archivio, come archivio della memoria. Il Carnico come argomento di conversazione e conservazione. Il Carnico come voglia di vivere, di rivivere, di ricominciare. Il Carnico come legame, come connessione. Fuoco dentro che non si è mai spento. E allora ecco il ritorno in panchina. Perché lì, sul campo, e nello spogliatoio lui quasi ci vive. Ci abita. Li respira, li annusa. Li conosce, li studia. Osserva e sorveglia. Accompagna, guida, conduce. Punisce e lenisce. Ascolta. Lavora sodo e duro. Regole e disciplina. Calcio che è fondamentalismo atletico. E’ praticità, concretezza, realismo. È furore. È lotta battaglia guerra. È il calcolo, è la zona salvezza o promozione, è guardare l’orologio per vedere quanto tempo manchi per segnare o non beccare un gol. È tempesta, è tranelli e inganni e dunque scappatoie e scorciatoie, è maledizioni.
La vigilia di ogni partita è per lui attacchi gastrointestinali e collezionare mal di testa; il durante è presenza vivente ed evidente. Sempre in piedi, tuta o calzoncini, calzetti corti. È sbracciarsi, puntare, muoversi. Tuonare e dettare. Intervenire ed elaborare. È pregare. Smorfie teatrali e cabarettistiche. È elettrocardiogramma sotto sforzo. È record della pressione alta. È rischiare l’infarto. Forza e chili trasmessa in campo che si uniscono e si moltiplicano trasformando la squadra, come undici affluenti in un fiume, come undici strumenti in una orchestra, come undici voci in coro.
Voglie e passioni sono esattamente e magicamente alla pari. E poi il dopo partita, che è sorridere angelico dopo aver urlato indemoniato. Sono quattro chiacchiere al chiosco che si elevano a comizi, a invettive, a trasmissioni. Esagerando con il colesterolo, mangiando, bevendo, brindando, cantando. E se c’è da svelare e tramandare lui lo fa. Con passione e semplicità.
Insomma, un uomo di campo cui tenere, con premura, con affetto. Ancora.
Angelo Spiluttini: un nome-e-cognome scolpiti nella storia e nella geografia di questo campionato.
*giocatore del Lauco