DE ANTONI: «COMEGLIANS DEVE MANTENERE LA SQUADRA»

di MASSIMO DI CENTA

Andare in campo con la speranza di limitare i danni, inseguire almeno il primo punto, non prendere la solita razione domenicale di gol.
Questo sta succedendo al Comeglians, che dopo 14 partite non è ancora riuscito a cancellare lo “zero” nella colonna dei punti fatti. Chiediamo a Stefano De Antoni, che ha preso in mano la squadra a fine maggio dopo la conclusione del rapporto con Gianni Timeus, come si fa a sopportare una situazione del genere.

Stefano De Antoni

«Innanzitutto – precisa De Antoni – voglio ringraziare Timeus per il lavoro svolto quando è stato con noi. Sapevamo tutti che affrontare la stagione con una squadra improvvisata all’ultimo momento non era semplice. Lui si è detto pronto quando lo abbiamo contattato, poi le cose non sono andate nel verso giusto e la società ha deciso di provare a cambiare. Personalmente, ho sempre cercato di difenderlo, perché conosco i suoi valori prima umani che tecnici e so quello che ha dato al calcio carnico. In una società, però, le decisioni si prendono collegialmente ed anche se qualcuno non è d’accordo, conta comunque la maggioranza. A quel punto ho preso in mano io la squadra, ma i risultati non sono cambiati, segno che c’è qualcosa di più profondo».

Ogni domenica rischia di trasformarsi in calvario…
«Ritengo che la cosa più importante, a questo punto, non sia vincere o pareggiare una partita, ma tenere in piedi la squadra. Rappresentiamo un paese di poco più di 400 abitanti e già si prospetta la possibilità di dover chiudere anche la scuola, che rappresenta non solo idealmente un ponte verso il futuro, un segnale di prospettiva per i giovani del luogo. Chiudere la scuola e non iscrivere la squadra al campionato sarebbe veramente un colpo durissimo per la comunità».

Parla di squadra ma pensa anche al paese, come impone il suo ruolo di sindaco.
«Assolutamente sì: tutto ciò che fa parte della comunità, dalle istituzioni alle attività di svago, rappresenta linfa vitale per la nostra zona. Il campo sportivo è un luogo di aggregazione, un posto dove ritrovarsi ed identificarsi con un qualcosa che rappresenti Comeglians».

Ma la gente, in genere, e i dirigenti, in particolare, hanno capito l’importanza di questo impegno?
«Me lo auguro, perché solo così potremmo avere un futuro. Ognuno, sia nella comunità che nel consiglio direttivo, deve andare oltre il proprio orticello, oltre il compito che gli è stato assegnato. Bisogna crescere tutti insieme, allargare gli orizzonti: ognuno deve portare entusiasmo, idee, passione ed amore per il paese. Le risorse economiche purtroppo sono pari a zero e quindi a muovere tutto deve essere solo una grande passione. Continuare l’attività è nelle nostre intenzioni, ma tutti devono darci una mano. Stiamo cercando la figura di un direttore sportivo, uno che conosca l’ambiente del calcio per coinvolgere anche giocatori da fuori e farli appassionare al nostro progetto di rilancio, ma nello stesso tempo funga da intermediario tra squadra e società».

I suoi giocatori però sono bravi a non mollare: mica facile andare in campo ogni domenica già sapendo che il risultato è segnato.
«Chiaramente ci manca anche la qualità dei singoli, un paio di elementi in grado di trascinare il gruppo a livello tecnico. Qualcuno ha mollato, altri sono stati vittime di infortuni gravi: penso a mio figlio Alessandro e a Lucchini, due sui quali contavo molto ed invece sono fuori per questi malanni. Preparare le partite della domenica non è semplice: più che agli schemi devo levare dalla mente dei miei l’abitudine a perdere, quella sorta di fatale rassegnazione che ci prende non appena subiamo un gol. Quando il risultato è sullo 0-0 riusciamo anche a far veder qualcosa di buono. Non appena andiamo sotto, ecco che tutto crolla».

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