di MASSIMO DI CENTA
Flavio Basaldella, attaccante del Castello, 40 anni compiuti lunedì 16 settembre e 400 gol… compiuti nell’ultimo turno di campionato. Dieci rete all’anno, insomma, per uno degli attaccanti più completi nel panorama del calcio carnico. Una carriera che lo ha visto protagonista con le maglia di Tricesimo, Pro Fagagna, Reanese, Tavagnacco, Caporiacco, Bearzi e Arteniese, prima dell’approdo nel Carnico a servire i colori di Castello, Campagnola e Cedarchis.
Flavio, ma qual è stato il tuo gol più bello?
Uno segnato a Luca De Giudici in un Real-Campagnola, match che poi perdemmo 7 a 2. Una rovesciata da fuori area di grande effetto. A parte la bellezza del gol, mi fa piacere ricordare quella segnatura perché De Giudici è stato l’unico portiere che mi ha parato un rigore. Ma non è stata niente male neanche un’altra rete, realizzata sempre col Campagnola sul terreno del Cavazzo: altra sconfitta, ma il gol che feci fu un bellissimo gesto tecnico. In tuffo di testa con una grande torsione del busto.
E il gol numero 400 che effetto ti ha fatto?
Una rete che non ha soltanto risvolti statistici. Con quel gol sono diventato il primo marcatore nella storia del Castello, superando Alain Schiratti e la cosa mi fa piacere, perché in qualche modo sono entrato nella storia di questa squadra alla quale sono veramente legatissimo.
Quali sono i tuoi pregi e i tuoi difetti?
Dovrebbero dirlo gli altri. Personalmente ritengo che un mio difetto, parlo da attaccante, sia quello di non andare mai giù e questo i miei compagni ed il mio allenatore me lo rimproverano spesso. Ma io sono fatto così, fa parte della mia etica. E poi, forse, gioco poco per la squadra, mi sento un finalizzatore, uno di quelli con l’“ossessione“ della porta. Il pregio è senza dubbio la determinazione: faccio mille sacrifici per conservare questa forma anche a 40 anni. Alimentazione controllata, riposo necessario e tanto allenamento. Della forma fisica ne ho fatto addirittura il mio mestiere: collaboro infatti con due fisioterapisti con particolare attenzione alla fase riabilitativa post infortuni.
Parliamo delle tue esperienze nel Carnico, partendo dal Castello.
Ho iniziato qui e alla fine ci sono tornato per una scelta di cuore. Sapevo che erano in difficoltà dopo la scorsa stagione. Andai via dopo anni di grandi soddisfazioni perché sentivo che si stava chiudendo un ciclo ed era giusto rinnovare con altri giocatori.
Poi arrivò il Campagnola.
In maglia biancazzurra ho segnato forse i miei gol più belli. La mia professione non mi permetteva di essere sempre presente agli allenamenti e allora finché segnavo andava tutto bene, al primo periodo di black out sono iniziati i mugugni, ma ci tengo a sottolineare che mi sono trovato benissimo nella squadra gemonese. Ambiente e società sono assolutamente al top.
Quindi l’esperienza al Cedarchis.
Altra grande società: lì dovevi arrivare e giocare, perché al resto ci pensavano dirigenti competenti ed organizzati, sempre attenti anche al particolare. Purtroppo è mancata un po’ di integrazione: il discorso della scarsa presenza agli allenamenti per i motivi cui ho accennato non mi hanno permesso di sentirmi parte di un gruppo che era davvero una famiglia e con un paese che segue la squadra con grande partecipazione.
Nonostante la valanga di gol segnati, avrai certamente trovato qualche osso duro nei panni di un difensore.
Altroché! Tre nomi: Stefano Coradazzi, Gianmaria Patat e Osvaldo Maieron. Gente tosta, in grado di assillarti fisicamente e di non mollare un metro, proprio come me.
Sul tuo profilo social compari spesso in compagnia di un cane. Sei un animo nobile, insomma.
Beh, diciamo che ho sempre amato gli animali, ma la passione me l’ha amplificata la mia compagna Lara. Il cane che si vede spesso sulle foto è Pier, al quale sono davvero molto affezionato.
Quali sono i programmi per il futuro?
Alla mia età si vive alla giornata, ma è chiaro che se la forma mi sorregge continuerò a giocare, perché il calcio è una grande passione.