di MASSIMO DI CENTA
“Cui eisel chel mat, tal cjamp, sot la ploe?”, si è chiesto qualcuno, vedendo un uomo che, sfidando le intemperie, stava lavorando sul manto erboso del campo sportivo di Comeglians. Chel mat è Silvio Taroni, uno che del Comeglians ha scritto pagine di storia.
No, non bisogna essere matti per fare quello che Taroni ha fatto in tanti anni di Comeglians: semplicemente, bisogna aver una passione talmente grande per un paese e la sua squadra di calcio e lui, questa passione, ce l’ha e in tanti anni non gli è mai venuta meno.
Classe 1960, Taroni ha sempre avuto il Comeglians nel cuore e con la maglia biancorossa ha iniziato a giocare nel 1974 (con gli Allievi) e ha finito nel 1993. Una fine decretata dalla moglie Maria Rosa, evidentemente un pochino stufa nel vederlo più al campo che nel salotto di casa. E quando smise Maria Rosa gli fece la concessione di continuare, almeno, a fare l’allenatore nelle giovanili, con lo stesso Comeglians e nella vicina Ovaro. Nel frattempo, gli aveva dato due figli, Nicola e Federico. Il primo, Nicola, era pure bravino (“Tecnicamente più di me”, ammette Silvio), ma evidentemente non aveva la sua stessa passione ed in un certo senso gli ha dato una piccola delusione, perché il figlio non aveva del padre la stessa passione verso il biancorosso. Taroni è nato terzino sinistro, un mancino puro, uno di quelli che usava il destro solo per camminare oppure quando in emergenza lo sfruttava per liberare l’are di rigore.
Un terzino fluidificante, si diceva a quei tempi, capace di sfornare assist con discreta continuità ma con poca propensione al gol. Poche, davvero poche le reti messe a segno nella sua lunga carriera: eppure una ancora se la ricorda. Si giocava il “Torneo Val di Gorto” e in una partita contro la Velox infilò con un potente sinistro da fuori area a pelo d’erba Blanzan, portiere paularino. A spostarlo al centro della difesa fu Dario De Prophetis, che per la carenza di difensori centrali, il primo anno che allenava il Comeglians, lo mise nel mezzo accanto ad un altro mancino, Giulio Not, vincendo, tutto sommato, la sua personalissima scommessa. Due mancini centrali, infatti, sembrava un contosenso, invece quella difesa che prevedeva Mario Not in porta, con Dario Fedele e Elio Vidoni sugli esterni, costituì le fondamenta di una squadra che sfiorò la promozione nel 1985. Il Comeglians arrivò terzo negli anni in cui la Terza prevedeva due gironi che promuovevano le prime due classificate in Seconda, mentre le seconde dei due gironi spareggiavano fra loro. A tre giornate dalla fine quella squadra aveva subito nove reti, poi nei restanti 270 minuti finì col perdere il secondo posto, vinta dalla tensione della lotta al vertice cui evidentemente non era abituata. Taroni ricorda De Prophetis con grande ammirazione, sottolineando il fatto che il tecnico aveva portato una mentalità nuova che da quelle parti non si era mai vista. Ma di tutti gli allenatori che ha avuto il ricordo è nitidissimo: Fabiano Mecchia, mister biancorosso alla fine degli anni ’80, viene catalogato come un perfezionista, una di quelle persone che arriva all’anima dei suoi giocatori, per la sua sottile psicologia. E poi, ricorda Silvio, conosceva tutti i giocatori del Carnico, descrivendone pregi e difetti e facilitando così il compito ai propri giocatori. Come non apprezzare, poi, la grande preparazione tecnica di Stefano De Antoni, uno in continuo aggiornamento per metodologie e novità tattiche. Infine, Carlo Toson: la sua capacità di far gruppo portò una squadra dalle potenzialità inferiori alla concorrenza ad una promozione in Seconda che davvero non era pronosticabile.