di MASSIMO DI CENTA
“Una vita da mediano”: inizia così la chiacchierata con Renato Grassi, classe 1964, mediano (rigorosamente mediano, come si diceva all’epoca), due scudetti con l’Amaro e altre esperienze nel Carnico e nel calcio regionale. La “vita da mediano” è forse un’espressione abusata quando si parla di un certo tipo di giocatori, ma nel caso di Grassi calza a pennello. Perché di quella squadra capace di vincere due scudetti di fila nel 1990 e 1991 fu uno di quelli che di definiscono “migliori attori non protagonisti”. Uno di quei giocatori che magari non rubano la scena ma fanno la fortuna degli allenatori.
La sua carriera si è snodata attraverso Fusca, La Delizia, Virtus Tolmezzo, Amaro e Cedarchis, prima di chiudere nella Tercal, campionato Amatori. Di ogni squadra conserva ricordi positivi, anche perché (per sua stessa ammissione) ai suoi tempi il calcio era davvero l’unico diversivo.
L’inizio di carriera lo vede in “Curiedi”: col Fusca iniziò giovanissimo, partendo dai Pulcini ed arrivando ben presto in prima squadra. Di quegli anni in arancione gli piace rammentare la vittoria nel “Torneo Guerrini” di Villa, categoria Esordienti, in una finale con la Virtus Tolmezzo. Ma gli scappa un mezzo sorriso quando ricorda una specie di fronda nei confronti di Beniamino Infulati nei primi anni con i grandi: la colonia di Terzo (composta da lui, Alessandro Candoni, Fabio Candoni, Graziano Ortis e Giovanni Roi) si ribellò apertamente al tecnico dopo una sconfitta interna col Cavazzo ed un dopopartita accesissimo negli spogliatoi. Il tecnico aveva accusato uno di loro e gli altri ne presero decisamente le difese, tanto è vero che la domenica dopo non si presentarono a giocare. Il caso fu talmente clamoroso che Grassi ricorda ancora che la stampa locale quasi dedicava un articolo al giorno alla vicenda! Vennero definiti i “5 Moschettieri”. Quando la società intervenne convincendoli a tornare, Infulati li lasciò tutti in panchina nella successiva partita, ma è chiaro che per Grassi l’avventura a Fusea era finita. Ed infatti l’anno dopo, eccolo con la maglia de La Delizia. Con Voltan in panchina i biancazzurri conquistarono la promozione in Seconda categoria dopo uno spareggio col Trelli. Un anno di pausa per il servizio militare, un breve ritorno al Fusca e poi eccolo in maglia Virtus (con mister Claudio Brollo), dove conquistò una salvezza che a un certo punto sembrava impossibile. Quell’esperienza gli fece decisamente bene, perché la stagione successiva, all’età di 25 anni, arrivò ad Amaro un giocatore maturo al punto giusto e con l’esperienza maturata in ambienti diversi. E di quell’Amaro fu uno dei pilastri. Il primo anno arrivò subito la promozione in Prima e poi, nei due successivi una doppietta da favola con due titoli conquistati. Una squadra formidabile che Voltan seppe plasmare prima nel carattere e poi nella tattica. Lui era un centrale di centrocampo (anzi, scusate, un mediano!) di corsa e contrasto, uno di quelli che sapeva spendere i falli al momento giusto, ma sempre e solo falli di gioco, mai interventi cattivi. Ma la sua grande dote era forse quella di saper cogliere il tempo giusto negli inserimenti: Costantinis e Dell’Angelo, le due punte, davanti facevano il diavolo a quattro, incrociandosi di continuo e lui poteva infilarsi nei varchi e puntare la porta avversaria. Il discreto numero di gol (oltre una decina in quegli anni) stanno a significare che il timing, insomma, era di quelli giusti… E uno di quei gol gli sta particolarmente a cuore: in una gara a Tarvisio, contro il Mercato, a 2’ dalla fine e con le due squadre sull’1-1, riuscì a realizzare la rete del successo con un diagonale da fuori area che non lasciò scampo al portiere avversario. Un’esecuzione perfetta e poi quasi alla fine: come può dimenticare quel gol?
Tra le tante persone incrociate nel Carnico, alcune sono rimaste impresse nella memoria: gli allenatori Claudio Brollo (definito un preparatore eccezionale e modernissimo per quegli anni in cui la tecnica era ancora privilegiata rispetto al dinamismo) e Giuliano Voltan, uno che, secondo Grassi, sapeva tenere il gruppo come pochi, per la sua capacità di trattare tutti allo stesso modo, dalla stella della squadra all’ultima delle riserve ed in più generoso con i suoi giocatori, ai quali portava frutta fresca dopo gli allenamenti, un precursore di quello che sarebbe successo anche anni dopo tra i professionisti, che al termine della sedute di allenamento trovano sempre frutta fresca per reintegrare sali e zuccheri consumati. E gli avversari? Ammirazione incondizionata per Gino Di Gallo: “Con lui era sempre dura – ricorda –. Non era altissimo, ma quando saltava di testa era dura contrastarlo. Allargava le braccia e ti levava il tempo. Per non parlare delle sue punizioni: mettersi in barriera era un rischio!”. E poi Fabrizio Damiani, marcato in un’edizione del torneo di Villa: “Più che marcarlo – sorride – l’ho visto sfrecciarmi al fianco. Un cambio di passo ed una progressione da far paura. Non era facile nemmeno fargli fallo, perché quando pensavi di affondare il contrasto, lui era già qualche metro più avanti”.
Segue ancora il Carnico, Renato, ed ovviamente tifa Amaro: nel suo ruolo non vede nessuno che gli assomigli, ma gli piace Alessandro Radina del Cedarchis, che definisce forte, veloce e coraggioso. E poi c’è anche un tifo, per così dire, interessato: quello per il figlio Igor (difensore del Fusca: toh, anche lui ha iniziato proprio da “Curiedi”, chissà…) e per il nipotino Christian (pulcino dell’Arta e figlio di Moira, la sua primogenita). Per sua moglie Marcella (che quando lui giocava non era proprio contentissima…), insomma, il calcio è diventato una specie di tradizione di famiglia e forse si dovrà rassegnare. Succede quando sposi chi decide di fare una vita da mediano!