di MASSIMO DI CENTA
Incontriamo Alido Concina, classe 1953, nella sua casa di Enemonzo: da diversi anni accudisce mamma Rina, 98 anni. “Non potrò mai fare per lei quello che lei ha fatto per la nostra famiglia: una vita di sacrifici, a volte di rinunce, ma sempre presente. Quello che faccio lo faccio col cuore”. E si vede, si vede dai gesti di affetto, dalle carezze su quel volto segnato dal tempo e dalle cose dell’esistenza. Sono gesti di grandissimo amore e di struggente dolcezza. Abbiamo voluto iniziare il racconto su di lui da questo dettaglio (che poi proprio un dettaglio non è…), che serve a spiegare lo spessore dell’uomo. Chi ha conosciuto l’Alido Concina calciatore probabilmente farebbe fatica a vedere tanta tenerezza nei suoi gesti: lui è stato un bomber spietato, ruvido, coraggioso: il centravanti d’area che duellava con stopper più spigolosi di lui negli ultimi 16 metri del campo, quelli vicino alla porta. E lui in quei 16 metri ci sapeva fare davvero… Figlio di un’epoca in cui non c’era l’organizzazione di adesso, quando ad 8 anni già ti mettono una maglia, ti fanno una foto e ti stampano un tesserino, documento di appartenenza. Ai suoi tempi si giocava nei prati, sulla strada ed era quasi più difficile sfuggire alla marcatura dei padroni del terreno che non agli avversari. E quando non c’erano campi appena falciati o strade libere da ostacoli bastava un muro, quello contro palleggiare per ore, senza sapere che quella specie di ossessione era il più utile degli allenamenti. Concina ha iniziato a giocare a 15 anni: Allievi dell’Edera e quasi subito l’esordio in prima squadra. Non era facile rubare il posto ai senatori, quella volta: esisteva una specie di diritto di prelazione per quelli più anziani e qualche allenatore ne era vittima. Ma il tecnico della prima squadra dell’Edera, Vanni Pivotti, una domenica prese il coraggio a due mani e fece esordire il giovanissimo Concina in un incontro interno contro il Paluzza: il bello è che il ragazzino si trovò di fronte, a marcarlo, Guido Paoloni che era il suo insegnante a scuola. Una sorta di… doppio esame, insomma. Ora, non sappiamo come andasse a scuola, ma sul campo si dimostrò già all’altezza visto che in quella partita d’esordio rifilò ben tre gol al Paluzza e magari il professor Paoloni, il giorno dopo, lo interrogò per vendicarsi… Da quella volta, in pratica, Concina non uscì più di squadra e i gol arrivavano puntuali: molti di testa, perché il gioco aereo, nonostante una statura non propriamente importante, era una delle sue caratteristiche migliori. Un tempismo innato gli consentiva di avere la meglio anche su difensori nettamente più alti. E poi quel senso di opportunismo, quello che caratterizza i goleador di razza, quando in area non sono loro che cercano il pallone, ma sembra quasi che sia il pallone ad andare verso di loro. Aveva solo un piede, il destro, ma seppe farne un buonissimo uso, evidentemente, viste le molte reti segnate. Ai marcatori di quei tempi non si richiedeva la pulizia di tocco, il piede gentile per avviare l’azione: la loro missione era quella di disinnescare gli avversari e spesso quando non ci arrivavano con le buone ricorrevano al fallo, anche duro. Con Concina però trovavano pane per i loro denti: lui era un generoso e non aveva paura di nessuno. In una partita con l’Audax, lo stopper fornese, prima di entrare in campo, gli disse “Oggi ti spacco le gambe”; Alido non fece una piega, si limitò a siglare una doppietta.
Degli anni con l’Edera, restano i ricordi di tante reti, molte promozioni e 4 finali di Coppa Carnia: due perse (contro Tarvisio e Cavazzo) e due vinte contro Forgaria e Stella Azzurra. Ci fu anche un passaggio nel calcio regionale, a Racchiuso: curiosamente, anche lì, nella partita d’esordio mise a segno tre reti. Periodo di grossi sacrifici quello di Racchiuso: Alido lavorava in cartiera e quando la domenica gli capitava il turno fino alle 14, finito il lavoro partiva per andare a giocare ma spesso arrivava a partita già iniziata. I dirigenti lo inserivano in lista e lui si cambiava di corsa ed entrava.
Ma non sono solo i gol a popolare i suoi ricordi: di quegli anni ricorda i pali quadrati, i campi spelacchiati, il fango che quando si seccava diventava come carta vetrata e i metodi di allenamento, magari non così sofisticati come quelli di adesso ma ugualmente efficaci: come quando gli allenatori facevano riempire le tasche della tuta con i sassi e si andava a correre sui letti dei fiumi, in terreni scoscesi ed irregolari e quelle corse miglioravano la resistenza, la forza e il senso d’equilibrio.
Il gol più bello? Uno contro la Stella Azzurra, quando su un cross dalla destra aveva fatto un passo di troppo ma rimediò con una rovesciata spettacolare, che gli valse i complimenti del suo marcatore e dell’arbitro a fine gara.
La partita da ricordare? Un derby con l’Ampezzo: il campo di Enemonzo pieno di gente e Ampezzo avanti 2-0 alla fine del primo tempo. Il clima negli spogliatoi, durante l’intervallo, non era propriamente dei migliori ed Ales Pellizzari piangeva per la tensione. Si torna in campo e l’Ampezzo fa il 3-0. Partita finita? Neanche per sogno! Sergio Colosetti accorcia, lui fa il secondo, Pelllizzari (proprio lui!) sigla il pareggio e nel finale Corradina colpisce per un 4-3 che ad Enemonzo ricordano più di quell’Italia-Germania di Messico ’70!
A fine carriera, gli ultimi due anni, l’avventura con l’Ancora, un periodo che Concina ricorda con molto piacere: seppe farsi voler bene a Prato Carnico, da quella gente autentica e generosa come lui. Memorabile un’Ancora-Edera, gara importantissima, dove in pratica ci si giocava la promozione in Seconda categoria. Partita decisa da un suo gol, che si rivelò fondamentale perché l’Edera finì dietro l’Ancora per un solo punto. Nella settimana successiva al match quasi evitò di uscire di casa, pensando che forse era meglio farsi non vedere in giro per Enemonzo…
Adesso segue il Carnico tramite i giornali ed il nostro sito. Gli abbiamo chiesto se tra i giocatori in attività c’è qualcuno che gli assomigli. Risposta immediata: Remo Zatti, lo scorso anno ad Ampezzo. “Deve solo crescere e migliorare nel gioco di squadra, per diventare un grande attaccante”, dice del giocatore, offrendo una specie di investitura per il futuro.