di MASSIMO DI CENTA
L’Ardita piange la scomparsa di Gianpaolo Romanin, storico allenatore presidente del sodalizio di Forni Avoltri, avvenuta nella giornata di ieri dopo una malattia che non gli ha lasciato scampo.
Settantacinque anni di vita dedicati alla famiglia e all’Ardita, appunto: una breve carriera da giocatore, prima di intraprendere l’avventura di allenatore dei gialloneri, una prima volta dal 1972 al 1974, successivamente dal 1986 al 1988 ed infine anche uno spezzone nella stagione 2000. Dal 1986 è stato presidente ininterrottamente fino al 2003.
Persona di grandissimo carisma, a volte un po’ burbero nei modi, ma come tutti i burberi buono come il pane, Romanin ha saputo farsi ben volere per il suo modo di essere diretto e per la facilità di sapere stare in compagnia, rivelando anche doti di affabile comunicatore. La moglie Dora gli ha dato quattro figli: due femmine, Laura e Daniela, e due maschi Carlo e Maurizio. I maschi ne hanno ereditato la grande passione per il calcio ed infatti entrambi sonio stati due giocatori importanti nella storia dell’Ardita: Carlo è stato un perno del centrocampo dal 1985 al 2003, mentre Maurizio, da tutti conosciuto come “Micio”, dopo un anno (il 1988) al Real, ha sempre vestito la maglia della squadra del paese (dal 1989 al 2006) e nell’ultimo anno di attività ha conseguito il patentino di allenatore “Uefa B”. Attualmente è il tecnico dell’ Ardita. E proprio a Maurizio abbiamo chiesto un ricordo del papà: «Dire che è stato un papà esemplare può apparire addirittura riduttivo: dal punto di vista calcistic, è stato il faro che mi ha guidato in tutti questi anni, prima da giocatore e poi da allenatore. Negli ultimi anni era il primo tifoso e ci seguiva sempre: la sua presenza in tribuna a Forni era una costante, così come la sua vena ironica. Credo che mancherà molto a tutta la comunità e senza di lui niente sarà più come prima. Devo trovare la forza per esserne degno, sia nello sport che nella vita. Mi piace ricordarne anche l’amore verso gli 11 nipoti, dei quali amava ripetere che erano il suo orgoglio».