Corti: «Il cuore dice sì, la testa dice no»

di MASSIMO DI CENTA

Alcune società hanno voluto sottolineare il silenzio della Delegazione tolmezzina della FIGC circa la possibilità di poter giocare il Carnico 2020 e anche delle spese sostenute per l’iscrizione. Interpellato in merito il Delegato Marino Corti si è mostrato cauto e si è detto in attesa di decisioni che chiaramente non possono spettare a lui.
«È chiaro che stiamo aspettando cosa verrà stabilito venerdì 22 maggio dal Consiglio della Lega Nazionale Dilettanti – precisa -. Come ricorderete, avevo già stilato una bozza di calendario, a livello di date, nella speranza che si potesse scendere in campo. Le cose poi sono andate come sappiamo e quindi tutto è rimasto fermo. Se si potesse decidere ascoltando il cuore è chiaro che tutti saremo pronti per iniziare allenamenti e gare, ma c’è ancora un’emergenza sanitaria di cui tener conto. In questo periodo, davvero non posso garantire nessuna decisione da parte della Delegazione».

E quindi, bisogna ragionare con la testa, anche a costo di andare verso una non effettuazione del campionato?
«Non ci sono alternative. Per chi vive di calcio come noi, farà fatica ad accettare un estate senza Carnico, senza quella passione domenicale che ci regala tante emozioni, ma ci sono aspetti sociali ed economici di cui tener conto».

Quali i costi di gestione per le società e il rischio che correrebbero tecnici, calciatori, dirigenti e tutti gli addetti ai lavori, non è vero?
«Certamente. I costi di iscrizione alla manifestazione, le spese per le visite mediche, l’assicurazione e il materiale sportivo incidono in materia pesante sui bilanci delle nostre squadre, senza la possibilità di un rientro, considerato il fatto che si dovrebbe giocare senza pubblico. Per quello che concerne i costi di iscrizione, l’idea sarebbe quella di congelarli per il prossimo anno, ma potremmo anche trovare altre soluzioni».

C’è poi, come si diceva, il discorso legato ai calciatori.
«La situazione dal punto di vista economico è sotto gli occhi di tutti. Ci sono aziende in grossa crisi, persone in cassa integrazione o che hanno perso addirittura il lavoro. Provate a pensare che reazione potrebbe avere, ad esempio, un datore di lavoro che perdesse per un mese un dipendente perché risultato positivo giocando a calcio. In più, poi, c’è il discorso delle famiglie: non so se genitori o coniugi accetterebbero il fatto che un loro congiunto possa mettere a rischio la sua salute per il calcio. Per questo, ribadisco, il cuore dice sì, ma la testa deve dire no, in assenza di sicurezza totale, che in tempi brevi è molto difficile da garantire».

Quindi restiamo in attesa delle decisione del 22?
«Non abbiamo altra scelta. Naturalmente chi vuole può contattarmi, perché un confronto a livello personale è sempre utile ed il dialogo è il miglior modo per crescere ed affrontare i problemi».

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