Carnico Story: Geremia Gonano

di MASSIMO DI CENTA

Dal libro “60 anni di Carnico”, uscito nel 2010, proponiamo il ritratto di Geremia Gonano.


Geremia Gonano, il “Gere”. Il calcio nel sangue, tanto da costringere il parroco Don Ernesto ad iscrivere nel Campionato estivo del CSI anche una squadra giovanile per poter indossare (finalmente) una maglia, anzi, “la maglia” dell’Ovaro.

La maglia numero uno, si proprio quella da portiere, rigorosamente nera. Poi la scommessa con i compagni: “Se mi fate giocare fuori, anzi in attacco, faccio un gol per partita”. Da quel momento il numero preferito è diventato il nove che mi ha accompagnato per tutta la carriera.
Il debutto nella prima squadra dell’Ovarese a 16 anni appena compiuti, a Raveo, allenatore Diego Puppini. Che emozione! Non dimenticherò mai le panche di quello spogliatoio, gli sguardi incoraggianti dei compagni, i consigli e le indicazioni del ”mister”. Fisico esile, dribbling e velocità le caratteristiche più importanti, fiuto del gol come pochi, tanto da essere notato da alcuni dirigenti del Donatello di Udine in vacanza a Ovaro. Ecco quindi l’esperienza negli Allievi di questa gloriosa società assieme ad altri ragazzotti della Carnia come Giorgio Cappellaro. La soddisfazione di essere convocato nella Rappresentativa del  Comitato di Udine, presieduto dall’indimenticabile Renzo Capocasale, e di aver giocato contro squadre come Torino e Atalanta di fronte a centinaia di persone (che serata a Percoto…). Poi i provini con società importanti di serie A e B,  qualche speranza di avere delle opportunità importanti che però non si avverarono.
Conclusa l’esperienza con il Donatello il rientro a Ovaro per cominciare la lunga avventura nel Campionato Carnico . Era il 1976. Sì l’anno del terremoto. Il Torneo di Vallata concluso al comando del girone e, mentre ci si preparava a disputare le fasi finali, ecco la scossa del mese di settembre: che incubo. Si riparte l’anno dopo, con tanta voglia di dimenticare quei brutti momenti, e l’Ovarese vola in “eccellenza”. In coppia con Fabiano Mecchia si era formato un attacco da incubo (per gli avversari): “i gemelli del gol”. Una valanga di reti con relativi voti nei dopopartita per rinforzare il convincimento di appartenere ad un gruppo imbattibile. Da quel momento inizia il periodo più vissuto, calcisticamente parlando.
Vivevo il campionato con un’intensità anche eccessiva, ma che ci potevo fare? Le vacanze estive organizzate vicino casa per poter rientrare la domenica: di saltare una partita non se ne parlava neanche. Le serate in balera senza esagerare con il bere e il rientro a casa mai ad ore “piccole” per essere al meglio il giorno dopo. Poi il premio di tanto impegno arriva con la chiamata della Pro Tolmezzo nel prestigioso campionato di serie D. Un’esperienza fantastica, con dirigenti e compagni eccezionali che rivedo sempre con grande piacere, ma la voglia di giocare per il proprio paese era troppo forte e quindi ecco il rientro a Ovaro. Era ora di pensare di vincere qualcosa, ma era anche ora di guardarsi in giro per trovare l’anima gemella.
Sono sempre stato convinto che nella vita bisogna avere un po’ di fortuna: ebbene, io sono stato molto fortunato! Ho incontrato la persona giusta: una moglie fantastica, una mamma stupenda! La mia passione per il calcio non è mai stato un problema: ha saputo assecondarmi con intelligenza e disponibilità partecipando attivamente al “sociale” della squadra (le mogli e le fidanzate facevano parte integrante del gruppo, in poche parole si stava bene assieme). Al viaggio di nozze non si poteva (giustamente) rinunciare, ma il giorno dopo le nozze ho giocato (e vinto) e il rientro dal viaggio rigorosamente di sabato: la domenica si gioca. Insomma si stava avvicinando il periodo che mi avrebbe regalato le maggiori soddisfazioni sportive. Dopo alcuni anni di secondi e terzi posti ecco che arriva il momento: 1987 l’anno del primo, sospirato, scudetto.
Che gioia! Che festa! Quante lacrime. Ricordo l’abbraccio con l’amico “Mino” (Cortiula) e poi il bacio stretti, stretti a “mamma Giannina” (era incinta di Daniele). E’ stata una festa popolare, con tanto di toro allo spiedo, offerto dal vulcanico presidente Rinaldo, attorniato da tutti i dirigenti, Ermes (il presidente storico dell’Ovarese) compreso.
I successivi tre anni sono stati per l’Ovarese e quindi anche per me, un crescendo di successi, Coppa Carnia nel 1988 e 1990 e ancora Campionato nel 1989. Vestire quella maglia biancoazzurra ti inorgogliva, così come ti inorgogliva la grinta con cui ti affrontavano gli avversari (come non ricordare i duelli sportivi con Diego Mattia o Fiorenzo Scarsini piuttosto che con Dario Screm del Mercato Tarvisio). Ma la cosa che ricordo più volentieri sono le “strette” di mano a fine gara: sincere, vere! E poi via ai dopo partita… Mamma mia che bello.
I ricordi sono belli ma, giustamente, non si può vivere di soli ricordi ed ecco allora che bisogna prendere la decisione di passare; passare dal campo alla panchina (nel frattempo avevo frequentato il Corso Allenatori per Giovani Calciatori e il Corso Allenatori di Terza Categoria). Logico (non scontato) che la prima squadra che ho allenato sia stata proprio l’Ovarese. Un’esperienza “forte”, che si è conclusa in modo non certo positivo, ma che mi ha aiutato a capire che il ruolo dell’allenatore era un’altra cosa rispetto al giocatore.
Ma è proprio vero che non tutti i mali vengono per nuocere. Ecco, infatti, la chiamata dell’U.C. Tolmezzo, per un lavoro nel Settore Giovanile che è durato 12 anni: tanto impegno e dedizione ma anche tante soddisfazioni professionali e umane. Infine il ritorno alle panchine del Carnico: Villa Santina (5 anni intensi e di cuore)…. Ma questa è già storia di oggi.

 

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