di MASSIMO DI CENTA
Riccardo Granzotti a 40 anni ha deciso di smettere. Il Carnico perde uno dei bomber più prolifici della sua storia, ma soprattutto una persona di grandissimi valori umani. È un uomo di spessore, il “Nic”, e sarebbe bello che tutti potessero conoscerlo anche fuori dal campo, per la sua correttezza, la sua onestà ed il modo di approcciarsi alle cose della vita. La festa che l’Arta ha voluto riservargli in occasione della sua ultima partita allo “Zuliani”, avversaria l’Illegiana, in fondo non celebrava solo il calciatore, ma anche e principalmente l’uomo. Una carriera spesa tra Arta, Timaucleulis, Cedarchis, Val del Lago ed infine il ritorno ad Arta, quasi a voler chiudere l’angolo calcistico a 360 gradi. Già, 360: come i gol realizzati in campionato, senza contare quelli messi a segno in Coppa e Supercoppa.
Allora, Riccardo, come mai questa decisione di smetter quando il campo ha dimostrato che potevi ancora essere un protagonista?
«Ho sempre pensato che si debba smettere quando si è ancora calciatori – spiega –. Mi ha sempre dato fastidio quella specie di pietà che si usa per le vecchie glorie. Ci vuole la capacità e la dignità di volerlo fare».
E tu, hai dimostrato di esserne capace. Hai smesso regalando, con i tuoi 16 gol, un bel pezzo di salvezza all’Arta.
«Ho messo al servizio della squadra le mie doti e le mie capacità, ma il calcio è gioco di squadra e nessuno vince o perde le partite da solo».
Beh, possiamo dire che nella tua carriera hai vinto molto. Ci ricordi la tua bacheca?
«Nel corso degli anni ho portato a casa 7 campionati, 3 Coppe Carnia e 4 Supercoppe. Penso di poter essere soddisfatto».
L’allenatore col quale hai avuto il rapporto più bello?
«Se proprio devo essere sincero credo di non ave avuto problemi con nessun mister. Ho sempre accettato le scelte di chi era alla guida delle squadre dove ho giocato. Però spendo volentieri una parola in più per Stefano De Antoni e Cristian Gobbi. All’apparenza due persone quasi all’opposto caratterialmente, ma entrambi dotati di grande capacità calcistiche e una carica umana impressionante».
Qual è stato l’avversario più duro affrontato nelle tue tante battaglie?
«Anche qui potrei fare tanti nomi. Ne scelgo uno perché lui secondo me è un davvero forte: parlo di Valerio Sandri. Siamo amici fin da bambini, ma in campo eravamo come estranei. Lui era duro, il classico difensore che non vorresti mai trovarti di fronte, ma era corretto: mai un fallo vigliacco, insomma».
Il tuo gol più bello?
«Per un attaccante i gol sono tutti belli, ma mi viene in mente quello realizzato in rovesciata all’Ovarese sul campo di Comeglians. Ero giovane, alle mie prime partite in prima squadra e segnare quel gol fu davvero un bel biglietto da visita».
Tra i giovani chi potrebbe essere il nuovo Granzotti?
«Devo dire che l’attaccante che mi assomiglia di più è Andrea Pasta, attualmente tesserato col Tolmezzo, ma “figlio” in qualche modo del Carnico. Il suo modo di interpretare il ruolo è molto simile al mio: grande realizzatore ma anche capace di giocare per la squadra. Il classico snodo offensivo, insomma».
Resterai nel mondo del calcio?
«Certo, il mio obiettivo è allenare una suadra giovanile dell’Arta».
Infine una curiosità: ma perché un bomber come te non ha mai voluto la maglia con il numero 9? Ti abbiamo sempre visto con la numero 8…
«Sembrerà strano, ma quando ero bambino il mio idolo era Dino Baggio, che aveva il numero n. 8. Non era un attaccante ma mi ha sempre colpito per la sua generosità e la sua carica agonistica».
L’OMAGGIO DI ARTA E ILLEGIANA PRIMA DELLA PARTITA