di MASSIMO DI CENTA
Ci sono personaggi, nella storia del Carnico, che sembrano apparentemente non aver lasciato grandi tracce. Ma poi, invece, ci si accorge che il loro impegno e il loro lavoro per alcuni è stato molto importante.
Ecco, questo è il caso di Beppino Di Centa, 71 anni (portati benissimo) compiuti lo scorso ottobre. Da calciatore lo ricordiamo per la sua generosità, la sua presenza fisica e la capacità di sapersi adattare a più ruoli, con le maglie di Paluzza, Timaucleulis e Cercivento: un centrocampista perfettamente inserito nella fascia media dei calciatori del Carnico, serio e affidabile, e con tanta, tanta passione. Lo ricordiamo protagonista assoluto col Paluzza che nel 1977 vinse il “Torneo Ermolli” di Moggio, all’epoca una manifestazione che aveva il suo prestigio.
Una volta terminata l’attività agonistica si è dedicato a quella di allenatore o, per dirla, come ha inteso il ruolo, educatore. Eh sì, perché per lui l’educazione, il rispetto per compagni e avversari e il senso del gruppo erano quasi più importanti dei fondamentali. La sua particolarità sta nel fatto che è stato il primo mister di tanti ragazzini che sono ancora nel Carnico o ancora più su. Si pensi, per ordine d’importanza, a Sergio Barlocco, attuale portiere del Trento, Serie C. Beppino curava solamente la parte atletica del ragazzo che poi veniva lasciato, per le questione tecniche, a papà Davide, anche lui portiere di livello nel corso della sua carriera.
Scendendo di categoria, ha insegnato i primi rudimenti ai fratelli Federico e Michele Rovere, difensori rispettivamente di Tolmezzo e Bujese. Sotto le sue cure sono passati anche i fratelli Luca e Matteo Zammarchi, con quest’ultimo che non ne voleva sapere di giocare a calcio, obbligando il mister a recarsi quasi ogni giorno a casa sua per convincerlo, avendone intuito il talento.
E poi Alessio Ortobelli, che lo faceva ammattire per il fatto che era talmente bravo da non voler passare la palla visto che tanto non la perdeva mai.
E ancora Andrea De Franceschi, altro tipino frizzante, Christian Tomat (ultimo acquisto del Cedarchis) e l’attaccante della Juniores del Tolmezzo Federico Flora.
Negli anni in cui creò di fatto il settore giovanile a Cercivento c’era anche Giuliano De Conti, tecnico del Comeglians fino a pochi giorni fa.
Un discorso a parte merita Raffaele Di Lena: abitavano vicini e il rapporto era praticamente quotidiano, perché se non si trovavano al campo si incontravano sotto casa. Raffaele gli è rimasto molto legato, tanto da dedicargli la tesina presentata all’esame per allenatore del Corso Base Uefa “B”.
C’è un nome, però, che ricorda con ammirazione e un pizzico di rimpianto: «Tra tutti quelli che ho allenato da piccoli, tra Pulcini ed Esordienti – precisa – quello che mi è rimasto più impresso di tutti è Vincenzo Del Bianco. Un talento puro, “Gegè”. Usava indifferentemente il destro e il sinistro, giocava a testa alta e nonostante fosse ancora un bambino aveva una coordinazione incredibile che lo portava ad avere una facilità di corsa sorprendente oltre che davvero elegante. Non capisco perché non abbia avuto una carriera pari alle premesse».
Educazione, rispetto e senso del gruppo: questi erano i suoi principi, come si diceva. Nei primi anni a Paluzza aveva tirato su una squadra veramente forte e compatta, in cui il senso di squadra era altissimo. Un anno, tutti in campionato avevano segnato almeno un gol, tranne Lorenzo Pittino. Nell’ultima di campionato, allora, tutti i compagni si misero d’accordo: «Oggi dobbiamo far segnare Lorenzo». Missione compiuta perché anche lui trovò la via della rete e la sua immagine inginocchiato a terra con le braccia al cielo è uno di ricordi più belli che si porta di quel periodo.
I problemi più grossi li ha avuti forse con i genitori, che talvolta gli chiedevano di non far giocare il figlio perché aveva preso un brutto voto: «Niente da fare – ricorda ancora -. Io ero sempre dalla parte dei ragazzi. Li facevo giocare e poi a fine partita facevo le giuste raccomandazioni».
Adesso, nonostante anche recentemente qualche società gli avesse chiesto di prendere in mano una squadra, ha sempre declinato l’invito. Preferisce seguire le vicende del Carnico da spettatore ed è un lettore attento e abituale del nostro sito.
Ma quei giorni con i suoi ragazzini sono sempre vivi e se mai dovessero affievolirsi, ci pensano proprio tutti quei bambini che ha allenato e che ancora gli scrivono messaggi di gratitudine. Ecco cosa significa lasciare un segno!
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