Carnico Story: Emilio Toch

di MASSIMO DI CENTA

Tanto genio e altrettanta sregolatezza: in questa frase è racchiusa la carriera di Emilio Toch, classe 1970, fantasista (mai termine fu più appropriato!) del Paluzza a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Primo di tre fratelli, tutti decisamente bravi col pallone: dopo di lui Alberto (esterno offensivo di grande qualità) e Ivan (talento da vendere e un facilità di calcio dall’impatto esplosivo). Emilio era croce e delizia degli allenatori che lo hanno avuto: basti pensare che ha saputo far perdere la pazienza anche a Pierino Delli Zotti, imperturbabile come nemmeno Zeman. Delli Zotti arrivava al campo per gli allenamenti prima dei giocatori, con la speranza di veder arrivare anche Emilio, che invece preferiva starsene al bar con gli amici o addirittura impegnarsi nel calcio di strada, magari proprio quando era giornata di allenamenti. Sì, proprio così: i compagni in via Mulines a sudare e provare schemi e lui nelle piazzette di Paluzza a srotolare il suo talento sull’asfalto, dove i colpi ad effetto gli riuscivano lo stesso.
Mezzi fisici impensabili per il calcio di oggi, due gambette sottili che terminavano con due piedini da 36 di scarpe, delle quali la destra era sempre nuova, mentre la sinistra appariva sempre più consumata, sfregata dal pallone per farne uscire il genio. Un piede solo, insomma, ma dal quale sapeva ricavare passaggi che erano ricami, tiri non potenti ma che sembravano scaturire da un bisturi per la precisione quasi chirurgica nelle loro parabole. Allenamenti zero, si diceva, ma la domenica arrivava puntuale, con la sua borsa sgangherata e, chissà perché, sempre aperta. Arrivava e mister Delli Zotti andava in bestia, relegandolo sempre in panchina. Ma davvero a malincuore: dover rinunciare alla fantasia di “Milio” gli sembrava un atto di autolesionismo, però doveva in qualche modo assecondare le regole del gruppo e magari mandare in campo qualcuno più scarso ma che in settimana si era fatto il mazzo in allenamento. “Intanto vieni in panchina “, gli diceva, e lui non faceva una piega, sapendo benissimo che nell’arco dei novanta minuti, il suo momento sarebbe arrivato. E quando si alzava la tabella delle sostituzioni arrivava il suo momento: ed eccolo lì, trascinare sul campo la sua indolenza, la sua anarchia tattica (coperture? E che roba è?). Poi, d’improvviso, un dribbling, un ancheggiamento appena accennato, l’avversario da una parte, il pallone dall’altra e assist al bacio o pallone direttamente nel sacco, con Delli Zotti che scuoteva la testa.
Una domenica, contro La Delizia, gli dà una possibilità di partire dall’inizio, giustificata dal fatto che in settimana si era presentato (rigorosamente in ritardo, s’intende) ad un allenamento. Mezzora di passeggiate per il campo, ciondolamenti tra le zolle sconnesse del prato di via Mulines e Delli Zotti che chiede al suo accompagnatore di prendere la tabella delle sostituzioni. Quello non fa in tempo a tirarla fuori dal borsone che Emilio segna un gol clamoroso: due finte al limite dell’area e sinistro a giro sul secondo palo. “Ma come devo fare io con questo?”, si sbattezzava il povero Pierino. Niente, mister, tienilo com’è. Il talento non si allena.

 

Subtitle

Per la tua pubblicità

Some description text for this item

Subtitle

Instagram

Some description text for this item

Subtitle

TECHNICAL PARTNER

Some description text for this item