Stefano Mecchia è stato un grande attaccante tra gli anni ’90 e 2000. In seguito è sempre rimasto molto legato al mondo del calcio, ideando e organizzando, assieme a Francesco Sciusco, il Torneo giovanile Parco internazionale delle Colline Carniche di Villa Santina. Per lui anche molti anni di esperienza amministrativa nello stesso Comune. In ogni caso un personaggio molto conosciuto e stimato in tutto l’ambiente calcistico dell’Alto Friuli (e non solo).
Ebbene, Mecchia ci ha inviato alcune considerazioni sulla vicenda delle squalifiche post Tarvisio-Real del giugno 2024, che volentieri proponiamo.
Nei giorni scorsi ho appreso da Carnico.it, che seguo sempre con piacere, della nomina di Claudia Candoni quale nuova presidente del Real Imponzo Cadunea in seguito alle dimissioni rassegnate dal dott. Mauro Cacitti “come conseguenza diretta della vicenda relativa alle lunghe squalifiche di Gabriele Tormo e Samuele Di Giusto” (cito letteralmente dall’articolo dell’amico Massimo Di Centa).
A Claudia Candoni voglio porgere il mio personale e sincero “in bocca al lupo”, a Mauro Cacitti voglio altresì esprimere tutta la mia piena ammirazione e stima per la serietà, l’impegno e la professionalità che lo hanno sempre contraddistinto sia come dirigente che, prima ancora, quale stimato professionista. Posso soltanto immaginare il senso di frustrazione che lo ha indotto a prendere questa drastica decisione: penso che il fatto di non aver ancora rilasciato alcuna dichiarazione in merito a questa vicenda sia una scelta decisamente più razionale della sentenza pronunciata dalla Corte Federale d’Appello che l’ha determinata).
In merito a questo caso, anche dopo aver letto gli atti del Giudice Sportivo, del Tribunale Federale Territoriale e della Corte Federale d’Appello, vorrei fare e condividere alcune riflessioni: pur rispettando le norme della Giustizia Sportiva, 10 e 12 giornate di squalifica (più di metà campionato) rappresentano una vera e propria “mazzata” per due ragazzi di 25 (Tormo) e 27 (Di Giusto) anni, in un contesto, quale il Campionato Carnico che, pur con la sua “colorita” ed “appassionata” tifoseria, di certo non è mai stato caratterizzato da atteggiamenti discriminatori o addirittura razzisti. Le offese, in qualsiasi forma e a qualsiasi destinatario riferite, sono e saranno sempre una reazione sbagliata, da condannare, ma amplificarne la connotazione in questo modo lo trovo una scelta più esemplare che equa, anche in considerazione del fatto che l’arbitro di campo (definito “imparziale” dalla stesso Tribunale Federale) nulla in tal senso ha riportato nel suo referto e l’Asd Tarvisio mi pare non abbia mai presentato alcun ricorso verso il Giudice sportivo.
Riconoscendo legittimamente al sig. Vergara e a tutti i dirigenti dell’Asd Tarvisio il diritto-dovere di tutelare la propria posizione e onorabilità (nei termini e nei modi che ritengono più opportuni), mi è apparsa, comunque, poco rispettosa nei confronti del sempre caloroso pubblico oltre che dei tanti volontari che lavorano per quello che orgogliosamente chiamiamo “IL CARNICO”, la sua dichiarazione “ancora oggi, su ogni campo del Carnico, si registra un atteggiamento altamente antisportivo che mi ferisce e mi lascia ogni volta interdetto, poiché non trovo un senso aa tutto questo odio gratuito” (cito le parole pubblicate nell’articolo del 27 giugno 2024 su questo sito).
Ho militato per oltre vent’anni in questo campionato, di cui uno proprio a Tarvisio, sponda Mercato, dove la maggior parte dei miei compagni erano meridionali o “terroni” (oggi si dovrebbero definire “diversamente settentrionali”) e che, proprio per questo connotato, ricordo con particolare piacere sia per il modo in cui mi hanno accolto che per la simpatia che hanno sempre espresso, anche di fronte agli stessi insulti che oggi definiamo “discriminatori”. Tutto finiva lì o, al massimo, davanti ad una birra nel chiosco di turno.
Ecco la sostanziale differenza tra questo e quel Carnico: in quegli anni volavano insulti, calci ed anche schiaffoni, in campo e nelle tribune, ma tutto si risolveva sempre e comunque nel celeberrimo chiosco, una sorta di “tribunale popolare” che a volte riusciva persino a ribaltare le sentenze più scontate e dove, alla fine, non contavano più né il torto né la ragione e ci si schiariva le idee davanti ad una birra fresca. Lì sono nate molte più autentiche amicizie che lavoro per il giudice sportivo.
In quel Carnico ed in quello prima ancora la rivalità sportiva, che oggi chiamiamo con troppa leggerezza “disciminazione”, esisteva anche tra le società sportive dei diversi comuni e, addirittura, tra quelle di uno stesso comune (vedi ad esempio Villa e Folgore, tanto per citarne una) e ciò, più che oggetto di denuncia, rappresentava piuttosto l’occasione per stimolare i debuttanti a “tirar fuori gli attributi” per la sfida successiva.
In questo Carnico al quale radio, tv e social media hanno dato nuova e meritata visibilità, sono forse gli stessi protagonisti, sull’onda del cattivo esempio del calcio professionistico, ad averne smarrito il senso autentico di fenomeno sociale e culturale e ciò, molto probabilmente, perché non ne hanno conosciuto bene la storia.
Venendo poi ai risvolti economici di questa sentenza della Corte Federale d’Appello, la sanzione di € 1.500 all’Asd Real I.C. per responsabilità oggettiva, mi appare del tutto sconsiderata per una società sportiva dilettantistica ed assai irrispettosa nei confronti dei tanti volontari che, con la loro opera e sacrifici, ne consentono l’attività.
Mi auguro che la Delegazione Distrettuale di Tolmezzo della F.I.G.C, la Sezione Carnica dell’A.I.A. e la Federcalcio Regionale possano e vogliano intervenire sull’argomento, non tanto per schierarsi a favore di una delle parti (anche se il referto dell’arbitro andrebbe preso in maggiore considerazione, quantomeno per salvarne la dignità), quanto per riportare alla giusta dimensione il “nostro” Campionato Carnico salvandone storia e tradizione.
Il mio accorato appello è “facciamo tutti un passo indietro”, ovvero torniamo a riscoprire il fascino autentico del gioco del calcio e, più in generale, dello sport così come lo si praticava nei cortili, dove la vittoria, quanto la sconfitta, avevano entrambe la stessa dignità e lo stesso valore educativo, lasciandolo fuori dai tribunali.
STEFANO MECCHIA