di FEDERICA ZAGARIA
Quando una ragazza sceglie di assumere un ruolo, non semplice e di impatto, come quello dell’arbitro, significa che ha alle spalle una famiglia e, in questo caso, una mamma che ha saputo trasmetterle la capacità di decidere e di scegliere strade non di facile percorso, potendo però contare sulle proprie passioni e sulle proprie capacità. Ed è grazie a Fabrizio Marchetti presidente degli arbitri di Tolmezzo, che ho avuto l’opportunità di conoscere e chiacchierare con Giulia Silverio, mamma di Michelle Quaglia, arbitro (il termine “arbitra” proprio non mi va giù), appunto, della sezione AIA tolmezzina.
Giulia è una mamma giovane, considerando che Michelle è appena diventata maggiorenne e si vede subito che è una persona concreta, riservata e che ha avuto ed ha un ruolo determinante nella crescita personale di Michelle, perché ha saputo lasciare che la ragazza scegliesse la sua strada, sapendo dire «se è quello che desideri, va bene», senza mai forzare la mano o dare peso a quelli che potevano essere dubbi o perplessità suoi personali, perché consapevole della passione che la figlia mette nelle cose che fa e, in questo caso, per il calcio.
«Mio marito Luca giocava nei Mobilieri, per cui il mio ingresso nel mondo del Carnico è avvenuto seguendo lui – spiega -. Quando poi ha smesso di giocare, Michelle era piccolissima e quindi non ne ha ricordi, ma ha sempre avuto una grande passione per il calcio, fino a decidere, a 14 anni e mezzo, di frequentare il corso per diventare arbitro e, di conseguenza, anch’io, insieme a mio marito, ho ricominciato a frequentare i campi del Carnico per accompagnare lei nella sua passione».
Il ruolo dell’arbitro in ogni caso è un impegnativo, sotto molti aspetti: che ne pensi?
«Da quando Michelle ha fatto il corso per arbitro, vedo sia il ruolo che le partite con un altro sguardo: ci vuole, tra tutto, anche una preparazione atletica non indifferente per seguire l’incontro come si deve. Si può dire sia necessaria una condizione fisica al pari degli stessi giocatori. Per il resto vivo serenamente la sua decisione di fare l’arbitro e sono consapevole che nonostante la grande responsabilità, tutti possano commettere degli errori. L’arbitro, tra l‘altro, non ha compagni di squadra su cui appoggiarsi “da solo” e deve decidere in pochi secondi cosa fare in un contesto peraltro velocissimo».
Cosa provi quando dagli spalti vedi Michelle dirigere un incontro?
«Innanzitutto ci tengo a precisare che è una ragazza indipendente. Per quel che riguarda il suo ruolo di arbitro, ma noi come genitori la seguiamo sempre, consapevoli, così come lo è lei, che spesso ciò che accade in campo è responsabilità dell’arbitro e Michelle, questa responsabilità, la vive tutta. Come madre l’ho sempre spronata e quando la vedo soffrire la tensione prepartita, la stessa che vivono i giocatori che devono scendere in campo, la supporto facendole sentire e capire che se è lì, in quel ruolo, significa che può farlo e significa anche che ha tutte le potenzialità e capacità per farlo, altrimenti non sarebbe arrivata a questo punto ed a dirigere anche partite della Seconda categoria regionale».
Cosa ti ha regalato il Carnico e cosa invece ti ha tolto?
«Non mi ha tolto nulla, se non qualche domenica alternatia al calcio. Mi ha invece regalato molte emozioni e quando guardo le vecchie foto di Michelle, dagli inizi ad ora, vedo come sia cresciuta in molti sensi, fisicamente ma anche mentalmente».
Il calcio è considerato da molti ambito maschile: tu, come lo vivi?
«Con tanta serenità, sia da parte mia che di Michelle. Quando c’è qualche “incomprensione” noto che non è mai questione di genere, ma di pura educazione».
Quanto parlate, in famiglia, di calcio?
«Molto. Discutiamo parecchio di dinamiche o episodi di incontri sia arbitrati da Michelle che da altri, anche perché la voglia di vedere partite c’è sempre e non ne perdiamo mai l’occasione».
Come descriveresti il Carnico?
«È aggregazione. Tra l’altro, quando ce n’è stata l’occasione, con Michelle ci siamo intrattenuti voletieri nel dopo partita dopo gli incontri che aveva diretto».
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