di MASSIMO DI CENTA
Guerrino Flumiani, classe 1965, Cividalese, tanto Cavazzo, una spruzzata di giallorosso del Cedarchis e Treppo Grande le tappe più importanti di una carriera spesa a fare la mezza punta sui campi del Friuli. Ci accoglie con un sorriso schietto e genuino e non può fare a meno di prendersi un po’ in giro: “Sì, sì, sono io; qualche chilo in più e qualche capello in meno, ma sono io”.
In effetti, le foto di quando giocava che ci mostra sul telefonino offrono l’immagine di un fisico un pochino diverso, ma ci colpisce l’entusiasmo di quando ricorda quel periodo.
L’inizio è a Cividale, dove la famiglia Flumiani si era trasferita dopo il terremoto e nella Cividalese si è fatto tutta la trafila, dagli Esordienti fino alla Prima squadra. Poi un’apparizione alla Pro Tolmezzo, durante il periodo del servizio di leva, prima di arrivare a Cavazzo nel 1986, dove il tecnico di allora, Aldo Iob, stravede per lui. Ne apprezzava la precisione nei passaggi, la potenza del tiro (il piede destro e basta, ma era davvero un buon piede) e la correttezza nei rapporti.
Flumiani è uno che non ha tanti peli sulla lingua e ce ne rendiamo conto quando ci rammenta un paio di episodi: quando parla del Cavazzo di oggi, per esempio, del quale apprezza la grande capacità organizzativa e l’abilità dei dirigenti, ma rimprovera loro un certo distacco con i giocatori del passato, il rapporto un po’ tiepido con le vecchie glorie della squadra. La sua non è una critica, ma si capisce dal tono che ci resta un po’ male… Il secondo aneddoto è una di quelle cose che non sempre si raccontano, ma lui lo ricorda sorridendo: era il 1996 e a inizio stagione il Tolmezzo aveva organizzato il “Memorial Loris Pillinini”, per ricordare il dirigente scomparso. Al figlio di Loris venne chiesto, a fine manifestazione, di eleggere il miglior giocatore e lui scelse proprio Flumiani. C’erano fior di giocatori (al Memorial avevano partecipato, oltre al Cavazzo, anche Illegiana, Cedarchis e Tolmezzo) ma la scelta cadde proprio su Guerrino, al quale, il figlio di Pillinini, confessò di avere ricevuto pressioni da parte dei dirigenti delle altre squadre per premiare uno dei loro. Quel 1996, iniziato alla grande, in realtà si rivelò probabilmente la più grande delusione della carriera di Flumiani: “A distanza di tanti anni, ancora mi chiedo come abbia potuto retrocedere quella squadra: eravamo ben messi in ogni reparto, avevamo Giorgio Cappellaro come allenatore e invece alla fine andò veramente male. Un mistero”. La sorte, poi, si dimostrò davvero tremenda con lui, perché sempre quell’anno dovette patire l’infortunio più serio della sua carriera, uno strappo all’adduttore che lo tenne lontano dai campi per molto tempo.
L’esperienza a Treppo Grande, invece, fu dettata da motivi professionali: Flumiani cercava lavoro e il presidente del Cavazzo Italo Stroili accettò il fatto che potesse anche lasciare la squadra, aiutandolo, anzi, a trovare un’occupazione. Lo chiamò e gli disse: “Guerrino, ci sono due possibilità: la Maianese, con un posto alla Snaidero, o il Treppo Grande, con un posto alla Fantoni”. La Maianese era in Prima, il Treppo in Terza, ma lui scelse il Treppo, perché lo attirava di più l’esperienza lavorativa.
Parlando di quando giocava, non dà molta importanza alle date, alla sequenza degli anni, alle vittorie o alle sconfitte, ma preferisce lasciare libertà allo spazio dei ricordi.
L’allenatore più apprezzato? Non fa classifiche, perché da tutti, dice, ha ricevuto qualcosa, ma due parole in più le spende per Vittorino Di Gleria, ricordato come un secondo padre, quasi: ne ricorda il carattere particolare, tipicamente paularino, ma una persona schietta ed un tecnico preparato, soprattutto dal punto di vista della preparazione atletica.
Il gol più bello? In Coppa Carnia contro il Mercato. I tarvisiani erano considerati una specie di corazzata, pronti a lottare per il titolo ed invece in semifinale di Coppa furono eliminati proprio dal Cavazzo (all’epoca in Terza). I viola erano sotto al 90’ e fu proprio Guerrino a siglare il gol del pareggio: punizione qualche metro fuori area, lui va sul pallone e fissa il sette della porta tarvisiana. “Voglio metterla lì, nel sette” pensa mentre sistema il pallone sul punto di battuta. Parte il tiro e “la mette lì”, dove aveva pensato. Più che la bellezza e la precisione del tiro, quel gol lo ricorda proprio per il fatto di averlo quasi pensato prima.
L’avversario più difficile? Fiorenzo Scarsini. Tra i due corrono 10 anni di differenza e forse proprio per questo quando doveva affrontarlo pensava di poter sfruttare a suo favore un gap anagrafico non indifferente. “Questo ha 10 anni più di me: me lo mangio” pensava ed invece ogni volta si rendeva conto che quel “vecchietto”, alla fine, era quasi insuperabile. Ma di Fiorenzo ha soprattutto il ricordo di un avversario duro e arcigno, ma leale e corretto. Un uomo vero, insomma.
E la società che più gli è rimasta impressa? Qui non ha dubbi: il Cedarchis. E non è perché con i giallorossi (guidati dal vulcanico Bruno Capitanio) ha vinto il suo unico campionato, ma proprio perché di quel gruppo ricorda la perfetta organizzazione societaria, con i fratelli Rainis a tirare le fila di un marchingegno perfetto, dove sapevano coesistere l’impronta familiare e la capacità di fare le cose come un team di professionisti, mix perfetto per quella mentalità vincente che avrebbe caratterizzato tante stagioni del Carnico.
Con un pizzico di delusione ci parla del figlio Omar, 25 anni, che dopo un inizio promettente ha mollato il calcio, magari perché non aveva la passione per questo sport o semplicemente perché era più interessato ad altre cose, ma è chiaro che per uno che ha vissuto di calcio la cosa possa causare un piccolo dispiacere.
Guerrino, infatti, amava il calcio ed il fatto che sia uno di quelli che non guarda statistiche, non ricorda esattamente ogni squadra dove ha giocato testimonia che il calcio è calcio, non c’entrano maglie, vittorie o numero di gol. Alla fine ci congediamo e l’ultima cosa che ci dice è: “Grazie, per avermi riportato ai quei tempi…”.
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