di MASSIMO DI CENTA
È passato esattamente un decennio dall’uscita di “60 anni di Carnico”, libro che scrissi assieme a Renato Damiani.
In quell’occasione incontrai tanti personaggi che hanno scritto pagine importantissime del campionato; ne uscirono ricordi, aneddoti, curiosità, gioie e amarezze, un autentico tuffo nella storia del calcio dell’Alto Friuli.
A distanza di 10 anni molti di questi racconti sono ancora attuali ed allora, come Redazione di Carnico.it, abbiamo pensato di riproporli, un modo per ripensare al Carnico che fu, ora che il campionato, suo malgrado, è fermo.
Iniziamo con lo storico presidente del Timaucleulis Flavio Mentil, che si raccontò in prima persona.
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Io quando arriva un dirigente federale o una personalità al campo di Timau mi sento in dovere di accoglierlo con calore ed ospitalità. Non è servilismo ma il rispetto istituzionale che merita chi ha deciso di ricoprire una carica che richiede impegno e passione. Fatta questa premessa, vediamo di scavare nella memoria per cercare i ricordi di una vita in biancazzurro. All’inizio mi nominai da solo a capo della società.
Mi spiego meglio: la Provincia aveva pensato per molti paesi della Carnia di istituire un “Comitato Turistico”. Questo Comitato aveva il compito di coordinare le varie attività turistiche all’interno del paese. Mi proposi come responsabile dello spazio per lo sport e la creazione della squadra di calcio fu la prima idea che mi venne in mente: la chiamammo “Italiana Marmitimau” e subito dopo ne affidai la gestione al maestro Venturini, un insegnante di Venzone che aveva avuto l’incarico a Timau. Dopo di lui vennero Gino Unfer, Graziano Silverio, Giovanni Ebner ed infine io. Nel frattempo la società si trasformò in Polisportiva, prevedendo, oltre al calcio, anche la corsa in montagna e lo sci di fondo. E’ inutile dire che la mia grande passione rimase il calcio e devo ammettere che quando me lo fanno notare hanno ragione da vendere! La difficoltà tra la gestione di un settore ed un altro è sicuramente diversa: il calcio è più complesso a livello organizzativo, mentre per quanto riguarda la corsa e lo sci, sport individuali, si trova molta più collaborazione a livello delle famiglie che non perdono una gara dei loro ragazzi. Cerco sempre di essere presente quando sono impegnati atleti della nostra società ma, per quanto riguarda il calcio, non sono di certo un presidente da spogliatoio: non sopporto un giocatore con una birra o una sigaretta in mano, perché non offrono l’immagine di atleta. Siccome non posso impedire loro di bere o di fumare, preferisco non vedere e basta! Occhio non vede cuore non duole. E’ una questione di buon senso, insomma, lo stesso buon senso che mi suggerì di cambiare la denominazione societaria: “Italiana Marmitimau” prima e “Marmitimaucleulis” poi mi creavano non pochi problemi a livello giornalistico, perché ogni volta che un nostro atleta faceva qualcosa di importante il nome della Società non compariva mai nel titolo, per ovvi motivi di spazio. Decisi per Timaucleulis, che è più corto ma tiene conto delle due diverse realtà che compongono la nostra zona. Timau e Cleulis hanno poco in comune, se non la caratteristica di dover essere “conquistati”. Se entri nelle simpatie delle persone però ti fai dei veri, grandi amici. Per il resto, il timavese, forte di una tradizione di emigrazione, ha assorbito modi di vivere diversi, portati da quelle persone che dopo tanti anni all’estero tornano sotto la “crete”. Aver fatto un pezzo di generazione lontano da Timau conferisce quasi un grado di emancipazione. Il clevolano, invece, è uno attento alle tradizioni, geloso dei propri usi e della propria cultura. Il suo paese è al centro del mondo ed in questo, forse, è più carnico del timavese. Convivere con due modi tanto diversi di intendere la vita non è facile: ho imparato che a volte bisogna far finta di non vedere, di non sentire e tirare avanti per la propria strada, senza abbattersi nelle sconfitte od esaltarsi nelle vittorie. Nell’anno in cui ottenemmo la promozione in Prima categoria, per esempio, ero molto contento, ma a rendermi orgoglioso più che il risultato sportivo (di certo prestigioso!) fu la gratificazione che ricevetti dalla gente del paese. L’unica volta, in tutta la mia vicenda presidenziale, che mi lasciai andare ad un entusiasmo un po’ meno controllato fu nel 1989, quando ricevetti, a Roma, la benemerenza per lo sport. Vissi quella vicenda davvero come un grande evento. Arrivai nella Capitale in aereo, poi un taxi sino all’albergo “Albani”, un cinque stelle, naturalmente, perché la circostanza non poteva richiedere un alberguccio normale … Ricordo ancora l’emozione quando il presidente federale Matarrese mi chiamò per ritirare l’onorificenza: elegantissimo, con la cravatta di seta, mi presentai davanti a lui, battendomi le mani. Lui, sorridendo, mi chiese: «Perché si è battuto le mani, presidente?» ed io risposi: «Perché oggi è un giorno importante, per me e per il mio paese!».
Se ho potuto dedicarmi al Timaucleulis con tanto impegno e tanta passione devo anche ringraziare la mia famiglia che mi ha sempre assecondato: mio figlio Massimo è attaccato al Timaucleulis esattamente quanto me: come calciatore è uno dei tanti uno nella media insomma, ma lui mi ha sempre detto che non si sarebbe ma visto con una maglia diversa da quella del Timaucleulis e questo me lo fa sembrare un fuoriclasse! Mia moglie Silva ha “sopportato” in silenzio questa mia passione condividendola se non per amore, per forza … Ma non mi ha mai fatto scenate. Solo una volta, ebbe una reazione un pochino più sopra le righe: eravamo andati con Massimo a vedere una partita in Friuli. Eravamo partiti la mattina, pranzato fuori, vista la partita, commentata la partita, cenato fuori, tornati a Timau e prima di tornare a casa ancora qualcosa da bere al bar di Timau. Rientrammo a casa e non appena aperta la porta, mia moglie ci accolse dicendoci “Drogats!”, perché per lei solo dei drogati di calcio potevano dedicare una giornata intera ad una partita.
Infine, vorrei ricordare alcune persone che mi hanno lasciato dentro ricordi speciali: Alberto Bearzi, per esempio, che quando giocava a Timau veniva su in corriera il sabato, dormiva a casa mia, giocava e poi la sera lo riportavo giù io. E’ da 25 anni il nostro sponsor e ogni anno non serve nemmeno rinnovare la sponsorizzazione: è un contratto che si rinnova da solo, per l’affetto reciproco ed il ricordo di quegli anni meravigliosi. Come non ricordare Daniele Primus? Uno che al Timaucleulis ha dato veramente tanto: non lo dico perché non c’è più, ma perché in oltre venti anni è stato, per me e la polisportiva, un punto di riferimento. Sempre ed in qualsiasi momento. E poi Otello Petris (al quale mi onoro di assomigliare per il modo di intendere il calcio e la vita), Claudio Bellina, uno di noi, un ragazzo che ho visto crescere e che anno dopo anno ho modo di apprezzare per le doti umane davvero di spessore.