di MASSIMO DI CENTA
Dopo Flavio Mentil, dal libro “60 anni di Carnico”, uscito nel 2010, ricaviamo il ritratto di Diego Mattia, o più semplicemente “Dede”, una vita calcistica divisa tra Sutrio e Real.
Giocatore, allenatore, dirigente e presidente. Indipendentemente dal ruolo, sempre un successo, in virtù di una passione e di una capacità nell’assolvere i compiti davvero fuori dal comune.
Per raccontare Diego, ci vorrebbe una… trilogia, perché, come detto nella premessa, ha sempre raccolto successi e consensi in qualsiasi ruolo si sia disimpegnato.Iniziamo dal calciatore: tira i primi calci nell’oratorio di Sutrio, dove viene chiamato anche dai ragazzi più grandi di lui. La differenza di età è colmata dalla grinta e dall’abilità che ”Dede” dimostra. Logico che appena diventa tesserabile, il Sutrio non se lo fa scappare. Le prime apparizioni già impressionano, perché il ragazzo ci sa fare e si vede. Lo vedono anche quelli del San Gottardo e se lo portano a Udine dove lo fanno giocare il sabato pomeriggio con la juniores e la domenica con la prima squadra. Con lui ci sono anche militari abruzzesi di stanza nel capoluogo friulano. Una sera, dopo un allenamento, lo prendono da una parte e lo convincono ad andare con loro a Pescara a fare un provino. Il provino è superato brillantemente e Diego torna dalla città di D’Annunzio con una tabella d’allenamento che lui segue scrupolosamente, perché ha voglia di provarci nel calcio che conta. Ci dà dentro, insomma, con l’entusiasmo e le speranze di un ventenne che può fare della sua passione il suo mestiere. Ma il destino entra dura su Diego, sotto forma di una pleurite che invece che a Pescara lo porterà a Imola, presso una centro specializzato per malattie polmonari. Il periodo in Emilia – Romagna si conclude in maniera positiva e Diego torna a casa sano e forte come prima; il calcio ad alto livello rimarrà un sogno nel cassetto (nel paesi dei falegnami, tanto, ci sono più cassetti che sogni…) e per lui c’è un posto di lavoro in cartiera.
Quel marpione di Franco Martinis gli mette subito gli occhi addosso, per portarlo ad Ampezzo, ma lui lo dribbla e se ne sta a Sutrio. Vittore e scudetti si susseguono in un crescendo irripetibile: i “maggiolini” volano e lui ne è l’anima. Per comprendere il senso di appartenenza e la longevità agonistica, basti pensare al fatto che il “Dede” ha visto scorrere due generazioni tra tre dei suoi compagni di squadra: ha giocato con Rialdo Buzzi (papà di Gilberto), Amelio Marsilio (papà di Fabiano) e Ciro Quaglia (papà di Massimo). Davvero niente male! Anche gli anziani dello spogliatoio avevano per lui grande stima e rispetto. Un pomeriggio a Forni di Sopra, il Sutrio è sotto di un gol e Diego fallisce due gol facili facili. Vedendolo abbattuto, Rialdo Buzzi lo avvicina e in mezzo al campo gli rifila un paio di ceffoni, dicendogli “Stupit, nisciun ti ha det nue!”. Diego si scuote e firma i tre gol della vittoria!
Da ricordare anche la finale di un torneo di Ampezzo: a “Dede” tocca un cliente scomodo, uno di quei giocatori tecnici ed anche rognosi, perché usano tutti i trucchi del mestiere. Un paio di gomitate ben assestate fanno intuire al nostro una serata mica tanto facile. All’ennesima azione scorretta, Diego tira un moccolo e promette di rendere pan per focaccia. Il suo avversario, impassibile gli fa: “Dammi pure, ma non bestemmiare”. La frase risultò un po’ strana a Diego che alla fine andò a cercare il giocatore per farsi spiegare il senso di quanto gli aveva detto in campo. Affacciatosi sulla porta dello spogliatoio avversario gli dissero: “Sei arrivato tardi, è andato via di corsa perché doveva rientrare in seminario…”.
Parlando con Mattia si avverte a tratti una nostalgia vivissima del calcio di una volta, quello in cui se in campo ci si davano, alla fine non si andava a bere insieme al chiosco, perché non si può darsele per 90’ a poi fare finte di niente.
Dopo i trionfi da giocatore i successi col Real, vissuti da fuori dal campo. Da allenatore del settore giovanile ai ruoli dirigenziali, però, serietà, impegno e capacità sono sempre le stesse. Logico quindi chiedere a Diego la differenza tra i tre ruoli; lui dice che da giocatore si è divertito ed indica in Gianni Fachin l’avversario più scomodo. Dell’allenatore gli piace il fatto di essere seguito soprattutto da quei ragazzi come Lorenzo Bergagnini che sanno unire bravura, intelligenza ed umiltà. Da presidente c’è la soddisfazione di far funzionare tutte le componenti di una società, grazie anche all’aiuto degli altri, identificato nella disponibilità di Flavio Palla, un dirigente che tutte le squadre dovrebbero avere, dice il “Dede”. E se lo dice lui… Lui che probabilmente dovrà riporre nel cassetto un altro sogno: quello di finire la sua carriera da dirigente a Sutrio assieme al gruppo dei dirigenti di una volta, quelli degli scudetti e della sua gioventù.
(PS: ed invece quel sogno si è avverato nel 2019, uscito da uno dei tanti comodini che nel paese dei “marangons” magari avranno fabbricato apposta…).