di MASSIMO DI CENTA
Il Carnico quest’anno non si giocherà. L’ufficialità ha tolto le speranze anche ai più ottimisti (ma erano veramente pochi…) ed ora chi aspettava il campionato dovrà inventarsi davvero un’estate diversa. Perché sarà solo calcio, d’accordo, ma quanto ci mancherà? Ci mancheranno i riti domenicali, le notturne, le tanto temute infrasettimanali, la Coppa, il chiosco, gli amici, le dispute, le discussioni. Quest’anno, poi, in maniera particolare, perché tutti noi avremmo avuto bisogno di un’aggregazione per dimenticare più in fretta le lunghe giornate dell’isolamento.
Saranno contenti i detrattori del calcio, quelli che dicono che in Italia esiste solo il pallone, quelli che dicono che anche in piena emergenza sanitaria nei telegiornali, accanto alle notizie che raccontavano di persone decedute, un titolo sulla ripresa della serie A non manca mai. Parole dettate dalla pura disinformazione perché, stando ai dati della Figc, il Sistema Calcio (dai professionisti ai campionati dilettantistici e giovanili) genera un fatturato complessivo pari quasi a 5 miliardi di euro, diventando così una delle 10 principali industrie italiane. Il solo calcio professionistico nel 2017 aveva un impatto sul PIL nazionale pari allo 0,19%, con una contribuzione fiscale e previdenziale successiva per circa 1,2 miliardi di euro. Una cifra che rappresenta il 70% del gettito fiscale generato dallo sport italiano e il 36% rispetto al settore relativo alle attività artistiche, sportive, di intrattenimento e di divertimento, ma che, complice lo stop, rischia di ridursi di circa il 30% nel 2020. Introiti che come ha spiegato anche il ministro
Spadafora, finanziano anche gli altri sport: nel 2018 (ultimi dati consuntivi a disposizione per tutte le federazioni) per 23 federazioni su 43 (pari al 60%) i contributi del Coni rappresentavano più del 50% dei ricavi. Non occorre, insomma, essere draghi dell’economia per comprendere come il pallone sia lo “sponsor” più munifico per le altre discipline.
Anche nel contesto del Carnico, la mancata effettuazione del campionato avrà ripercussioni negative sulla microeconomia della zona: basti pensare ai locali dove le squadre si riuniscono per i dopo allenamenti o i dopo partita, alle ditte distributrici di bevande, alle macellerie e i negozi alimentari che forniscono le materie per i chioschi.
Ma accanto a questo aspetto ce n’è un altro, quello passionale di chi ama questo sport. Gli addetti ai lavori potranno coltivare altre passioni, stare più tempo in famiglia, ma resta il fatto che i dirigenti sono giustamente preoccupati da questa situazione, perché se per gli altri lo stop sarà di qualche mese, il Carnico starà fermo esattamente per un anno e mezzo e la cosa potrebbe rappresentare un problema a livello di sfaldamento del gruppo, perdita di stimoli e potrebbe allontanare qualcuno dal pallone. E con il decremento demografico e la giusta concorrenza di altri sport, di certo non è una grande notizia.
Il Carnico mancherà anche a chi lo racconta, perché sembrerà strano, la domenica, non sentire le voci di Renato Damiani e Luigi Ongaro, non leggere i post pungenti e sempre appropriati di Bruno Tavosanis sui social, non ascoltare le interviste dei protagonisti. Il sottoscritto non dovrà buttare giù in poco tempo il suo resoconto sul sito sui fatti della giornata. Perché anche chi racconta il Carnico ci mette il cuore e cerca di coglierne aspetti che vanno oltre il fatto agonistico.
Niente lotta al vertice, quest’estate, niente scontri caldi per promozioni e retrocessioni, niente arbitri da accusare, niente prodezze da celebrare. Non ci sarà nessuna squadra da battere. Questo campionato l’ha “vinto” un giocatore, da solo: si chiama Covid ed ha la maglia numero 19…
Per tutti arrivederci al 2021. Un’attesa lunga, ma poi sarà ancora più bello.