di MASSIMO DI CENTA
Anche se non è arrivato al grande calcio, probabilmente Fabrizio Damiani è il talento più genuino espresso dal Carnico. Avrebbe avuto tutto per giocare coi professionisti, ma al momento di scegliere, ha scelto con il cuore, ritagliandosi comunque una carriera da protagonista, partendo proprio dal calcio della montagna.
Proponiamo il suo ritratto dal libro “60 anni di Carnico”, uscito nel 2010.
Tanto per riprendere l’introduzione, non sappiamo dove sarebbe potuto arrivare Fabrizio Damiani, detto “Bacio”. Chissà dove o avrebbe portato il suo talento, quel cambio di passo tipico dei giocatori “veri”, quel fisico che sembra davvero adatto per trattare il pallone e, perché no, quella faccia da copertina che avrebbe fatto la sua bella figura in qualsiasi magazine specializzato. Non si sa dove l’avrebbe portato, ma si sa che l’inizio sarebbe stato a Vicenza. Furono proprio alcuni emissari della società biancorossa, infatti, a proporgli (si era agli inizi degli anni ’90) un contratto mica male: 4 milioni al mese più l’appartamento. Offerta irrinunciabile, trampolino verso gloria e ricchezza. Ed invece Fabrizio, che una decina di anni prima aveva perso il papà, dopo tre giorni (e probabilmente tre notti insonni…) rinunciò. Accettare avrebbe significato lasciare da sola la mamma e lui non se la sentì. Non chiedetegli se lo rifarebbe, perché non avrebbe senso o forse perché certi treni passano una sola volta nella vita e lui ha preferito non salirci. Un simile gesto basta per spiegare l’uomo. Il calciatore si spiega da sé. Quella scelta anziché avvilirlo gli diede la forza e l’entusiasmo per riciclarsi nel Carnico. “Bacio” azzerò tutto, legandosi ancor di più alle sue radici e vivendo la realtà con quella quotidianità che a volte ti sta stretta, ma ti offre certezze e punti fermi. Anche le scelte nel Carnico, in un certo senso, sono state dettate dal cuore: il Lauco rappresentava la squadra del suo paese, delle sue origini e con la società arancione scalò progressivamente classifiche e consensi. Il passaggio alla Stella Azzurra fu reso possibile da piccoli riconoscimenti economici, ma soprattutto da vincoli di amicizia verso molti giocatori gemonesi. A Gemona, però, Fabrizio non avvertì mai il senso del gruppo, quel processo di identificazione tra giocatori e squadra e per questo ancora una volta scelse con il cuore, decidendo di andare nell’Illegiana, paese della moglie. Illegio non faticò ad accettare Fabrizio, facendolo sentire uno di loro. E lui ripagò stima e affetto trascinando i verdi ad un trionfo mica tanto preventivato.
Parlare con Fabrizio è un vero piacere, perché ha la capacità di saper far riaffiorare i ricordi più vivi e perché è uno di quelli che non dimentica nessuno ed ha una parola per tutti. Dice di aver imparato qualcosa da ogni allenatore che ha avuto, anche se sono quattro quelli che per un verso o per latro gli sono rimasti dentro: il primo è Giuseppe Concina, un uomo prima che un allenatore. Fabrizio era il numero 1 ed il buon “Bepi” lo sapeva, solo che non lo faceva mai pesare agli altri. Difesa e contropiede era il suo credo, tanto sapeva che bastava non prendere gol che poi al resto avrebbe pensato “Bacio”… “Bon fantaz, spietinlu” era il motto di Concina, tatticamente vicino alle ripartenze di Sacchi, ma verbalmente molto più colorito… Il secondo è Enzo Zearo: per Fabrizio il numero uno. Carisma, personalità e mentalità vincente sono le doti che più di ogni altro hanno colpito “Bacio”. Anche Zearo ama la prudenza tattica ed è molto esigente per quanto riguarda l’aspetto della condizione fisica. Il terzo ricordo è per Pierino Delli Zotti. Fu Fabrizio a suggerirlo alla dirigenza dell’Illegiana e la scelta fu azzeccata. Fabrizio definisce Delli Zotti un uomo vero e detto da lui è un complimento che il buon Nino apprezzerà. Maniaco della preparazione fisica, il tecnico di Treppo Carnico aveva solo un piccolo limite per “Bacio”: era troppo educato e a volte portava troppo rispetto anche quando magari ci sarebbe stato bisogno più di bastoni che di carote… “Eppure aveva anche coraggio – ricorda Fabrizio -. A volte mi ha tenuto anche in panchina…”. Il quarto, nei ricordi di Damiani, è Elia Lazzara. Ex professionista, instaurò con “Bacio” un rapporto spontaneo, un feeling immediato. Stavano ore a parlare di calcio, ben sapendo di trovare uno il riscontro dell’altro. Tattica, preparazione, aspetto psicologico: le loro discussioni potevano essere considerate alla stregua di un trattato, insomma. I difensori che più ha sofferto? Denis Cecchini de La Delizia e Gildo De Toni: rapidi, forti fisicamente e sempre concentrati. Il giocatore del Carnico che più gli assomiglia? Patrick Adami, anche se non ha il killer instinct del bomber. I rapporti tra il Tolmezzo e le squadre del Carnico? La mancanza di comunicazione. “Ed è un peccato – dice Fabrizio – perché sono convinto che qualche Damiani ci sia tra i tanti ragazzini che da Forni di Sotto ad Amaro giocano a pallone”.