di MASSIMO DI CENTA
Ales Pellizzari non c’è più. Ha deciso di andarsene nella scorsa notte, portandosi con sé tutto quello che 70 anni di vita gli ha regalato.
Nativo di Preone, era emigrato in Venezuela seguendo il padre che si era spostato in Sudamerica per motivi di lavoro. E forse sono stati gli anni vissuti da quelle parti ad averne assecondato un estro calcistico già ben dentro i suoi cromosomi.
Una volta tornato in Italia l’amore per il calcio non è diminuito, anzi; una carriera vissuta tutta di un fiato con le maglie di Virtus Tolmezzo, Edera, Folgore, Real, Cavazzo e Paluzza ha consegnato al Carnico un giocatore per certi versi innovativo rispetto al trend di quegli anni per il modo di “pensare” calcio. In quell’Edera del 1972 si trovò a fare i conti con un calcio che non era ancora nelle sue corde, tanto che alla fine della prima partita disputata al “Pivotti” se ne uscì con frase che ancora in molti ricordano: «Per 90’ ho visto il pallone volare alto sopra la mia testa, da una parte e dall’altra… E mi viene spontaneo domandarmi: Ales, ma dove sei capitato?» Col tempo, poi, capì che quel modo di giocare andava sì accettato, ma si diede da fare per cambiarne la concezione, proseguendo il lavoro anche come allenatore delle giovanili di Cavazzo e Real, dove oltre a qualche titolo portò questo suo modo di essere, appunto, un personaggio innovativo.
Ho conosciuto Ales ai tempi della mia esperienza da dirigente del Paluzza: un Paluzza che veniva da anni di anonimato che faceva a pugni con la storia della società e ricordo che lo avevamo fortemente voluto perché a quella squadra, che ripartiva con tanti giovani, mancava qualità e carisma e chi meglio di lui poteva portarle? Personaggio a volte scomodo, per il modo diretto e apparentemente crudo di dire le cose, uno che dava l’impressione dell’uomo forte. E invece, alla prima partita di quel campionato, un Castello – Paluzza finita 1 a 0 per i gemonesi, rientrando negli spogliatoi Ales scoppiò a piangere. Ricordo che in molti si sorpresero, non immaginavano che proprio Ales Pellizzari potesse dimostrarsi così debole. E invece quello era il segnale che lui era un uomo forte, perché gli uomini forti non hanno paura a mostrare le loro debolezze. La domenica successiva imposi alla squadra di fargli fare il capitano e feci confezionare per lui una fascia di velluto rosso su misura. Un segno di distinzione, perché lui era il capitano che ci mancava e che volevamo. La partita finì con un 3-0 rotondo contro il Val Fella, con Ales che regala due assist sontuosi e segna il terzo gol su rigore. Il dopo partita fu lungo, con Ales a casa mia e fu il primo di una lunga serie di dopo partita…
Il Paluzza quell’anno non vinse niente, non fu promosso, ma anche grazie a lui era stato gettato il seme di una squadra che negli anni seguenti fece davvero grandi cose.
Poi, come spesso succede, la vita allontana e i contatti si diradano, senza però perderci di vista e ad ogni incontro casuale scattavano i ricordi. Fino a che, a metà degli anni Novanta, il destino lo costrinse ad una vita che il suo modo di vivere non avrebbe mai potuto accettare. E allora, pur essendo ancora legato a lui da un affetto profondo, speravo di non incontrarlo. Nemmeno per caso. Perché quando lo vedevo piangeva e scuoteva la testa, ma quelle non erano le lacrime di quel giorno a Gemona e io non sopportavo che quella fosse solo debolezza. Il mio capitano non poteva, non lo meritava… Tutto qua. Non era vigliaccheria: era rispetto, il rispetto che si deve ai capitani, quelli forti e coraggiosi. Penso di averlo visto per l’ultima volta nel 2015, quando dopo la Coppa Carnia conquistata dal Cavazzo si fece fotografare col figlio Fady e la Coppa. Quella coppa che lui aveva vinto da giocatore col Cavazzo e ora la rifesteggiava col figlio, che di quella squadra era, pensa un po’, a sua volta, capitano. Un segno di continuità, perché la fascia al braccio, evidentemente, è una cosa genetica. Anche in quella foto Ales piange, ma stavolta non ci vedo debolezza, ma la forza di un uomo che supera anni di difficoltà con la forza dei ricordi.
Ciao Ales, sarai sempre il mio capitano!
Si può dare l’ultimo saluto ad Ales Pellizzari lunedì 1 marzo alle 10.30 a Preone.