di MASSIMO DI CENTA
Dici Gino Capellari e pensi a Prato Carnico oppure all’Ancora. Che poi per lui non c’è tanta differenza, perché per lui Prato Carnico e l’Ancora sono state (e sono…) momenti importanti della sua vita, anche se adesso abita a Palmanova, dove l’ha portato la sua storia d’amore con Simonetta, la sua compagna, che è di laggiù. Ma Prato Carnico gli è rimasto nel cuore (e da lì non se ne andrà mai, potete giurarci) e ci sarà sempre un filo sottile che parte da Palmanova per arrivare in Val Pesarina, quasi cento chilometri che lo separano dai ricordi e dagli affetti ma che lui ha saputo accorciare rimanendo parte integrante e importante del suo paese, del quale è vice sindaco e assessore alla cultura.
Classe 1967 o più semplicemente classe da dispensare con quella maglia numero dieci che ha accompagnato per anni il suo impegno nel calcio. Già, la maglia numero dieci, quella che di solito tocca a chi è un pochino più bravo degli altri e si conquista sul campo, non si pesca in un sacchetto della tombola. Centrocampista o perché no tuttocampista, visto che se la cavava in quasi tutte le zone del campo (lo ricordiamo anche libero e mediano). Centrocampista di stampo classico, però, di quelli che trattano la palla in un certo modo, con un destro naturale e un sinistro che comunque sapeva usare. Tatticamente sempre presente a sé stesso e alle esigenze della squadra e sufficiente praticamente in tutti gli altri fondamentali.
L’Ancora nel cuore, si diceva, perché proprio dal “Gennaro” è iniziata la sua storia di pallone, che poi l’ha portato ad Ovaro e a Comeglians, dove lo ha voluto Carlo Toson, in nome dell’amicizia, ai tempi del Comeglians dei miracoli, una squadra che ha saputo andare oltre i propri limiti. Amicizia e senso di appartenenza, sono queste le chiavi di lettura della sua carriera, un’appartenenza a Prato Carnico e… zone limitrofe, se è vero che che poi da Prato si allontanò di pochi chilometri, come abbiamo detto, nel suo percorso da calciatore.
A proposito di amicizia, è molto forte quella che lo lega ancora a Fabiano Mecchia, in un rapporto tra uomini veri che è andato aldilà del campo. Di Mecchia, Gino ricorda l’anno di una promozione in Terza: tutti prendevano un po’ in giro Mecchia, perché gli ricordavano che a un colpo di testa formidabile non corrispondevano piedi adeguati. La cosa non fece altro che stimolare il suo genio (o il suo amor proprio, chissà…), fatto sta che la promozione fu centrate grazie a due o tre punizioni che il buon Fabiano pennellò nelle porte avversarie nelle ultime giornate, nell’anno in cui una trasferta a Forni Avoltri (col paese praticamente isolato dalla strada interrotta) costrinse l’Ancora a un viaggio sicuramente singolare: un pezzo di strada col pulmino, un tratto a piedi e poi, dall’altra parte dell’interruzione, un pulmino messo a disposizione dall’Ardita portò i biancazzurri al campo.
Da notare che entrambe le squadre erano in lotta per le prime posizioni ma all’Ancora però bastava un pareggio e venne fuori uno zero a zero che significò promozione. Nel cuore sensibile di Gino anche i brutti ricordi non sono legati al risultato in sé stesso ma a situazioni umane, come nell’anno di una retrocessione che si materializzò a Verzegnis. L’Ancora aveva fuori il portiere titolare e fu costretta a schierare il dodicesimo: questi ero uno che aveva dato la propria disponibilità dopo diversi anni di inattività, pensando magari di non dover mai giocare. La squalifica del titolare lo portò in campo, invece, e lui alla fine non si dava pace. Ecco, di quel pomeriggio Gino non ricorda l’amarezza per il risultato sportivo, ma una sorta di dolore, forte, nel veder piangere negli spogliatoi un uomo di una certa età.
Da Palmanova, ora, Gino segue ancora il Carnico e quando è a Prato va a vedere la sua Ancora: è un Carnico diverso, dice, con i paesi che svuotandosi hanno fatto venir meno il senso di identificazione col paese e anche un Carnico che ha perso un po’ quel fascino che aveva ai suoi tempi, quando era un’occasione per conoscere il territorio, perché magari uno di Prato Carnico, se non avesse dovuto giocare, che ci sarebbe andato a fare, la domenica, ad Amaro o a Paluzza o a Imponzo? E lì, magari, non avrebbe conosciuto Simonetta, che lo ha portato invece molto più lontano. A Palmanova…
Visita la sezione Story per scoprire altri ritratti e ricordi del Carnico.