di MASSIMO DI CENTA
Nives Romano è senza dubbio il nome più importante nella storia della Velox. Non solo per i due scudetti conquistati (nel 1978 e nel 2004), ma per tutto ciò che ha fatto per il sodalizio gialloblu, al quale ha veramente dedicato impegno, passione, disponibilità economiche ma soprattutto amore. Basta parlare con un giocatore qualsiasi che abbia vestito la maglia della Velox per capre l’importanza del personaggio. Una storia d’amore, insomma, quella tra lei e la Velox, iniziata per assecondare una passione che ha avuto fin da bambina, quando andava col padre a seguire le partite del Carnico. Probabilmente, come tutte le emozioni che si vivono da bambini, quelle atmosfere, quelle sensazioni, quelle emozioni le rimasero dentro, perché poi lei da qui campi non si staccò mai più. Alla fine degli anni Settanta, la passione diventa impegno e decide di buttarsi anima e corpo nell’avventura gialloblu. Vedere una donna alla guida di una delle società più importanti dell’intero movimento non faceva scalpore, ma di certo incuriosiva. Ma lei non si fece mai condizionare ed è sempre andata dritta per la sua strada, incurante di critiche, elogi e luoghi più o meni comuni.
Arriva alla Velox e trova una squadra ed una società in salute, con l’entusiasmo e gli stimoli giusti: la Velox e “la dottoressa” (lei si è portata dietro quel titolo da sempre) si piacciono da subito e da subito si crea quel feeling, quell’unione di intenti che darà subito frutti importanti. La squadra ci dà dentro che è una meraviglia e lei la segue con lo stesso entusiasmo di quando andava a veder le partite col papà. I risultati fioccano e la stagione si conclude con la promozione in Eccellenza che non era proprio nei programmi. La squadra in campo era guidata da Vinicio Feruglio ed anche questo, se vogliamo, era un aspetto strano, perché nella maggior parte dei casi ad allenare la squadra del paese è quasi sempre un ex giocatore. Ed invece Feruglio non aveva mai indossato la casacca gialloblu ed anzi aveva militato per diverse stagioni nelle fila dell’Arta. Fu proprio in occasione di un’accesissima Arta-Velox di qualche anno prima, che Nives Romano “conobbe” Feruglio, che a pochi minuti dal termine dell’incontro batté furbescamente una punizione a sorpresa siglando il gol della vittoria. Quel gol anziché stroncare un’amicizia ancor prima che nascesse fu al contrario la molla che fece scattare la stima, perché “la dottoressa”, una volta capite fino in fondo anche le regole non scritte del calcio, capì che in quella furbata c’era l’essenza del gioco, l’abilità, la scaltrezza, l’intuizione.
Feruglio, insomma, condusse la squadra in Eccellenza. La Romano, per quel campionato, gli chiese una salvezza tranquilla e soprattutto di mantenere l’ambiente sano ed equilibrato. Feruglio andò oltre le aspettative più ottimistiche ed un anno dopo la promozione portò a Paularo anche il primo scudetto. Dopo quel trionfo, come si dice in questi casi, si chiuse un ciclo, perché forse ai giocatori mancavano gli stimoli o più semplicemente perché avevano dato tutto. Seguirono anni di grigio anonimato con una salvezza dalla Terza conquistata per un solo punto. Eppure, passavano gli anni, i tecnici, i giocatori, ma lei era sempre lì, senza nessuna intenzione di mollare. Che diamine, era arrivata ed in due stagioni aveva vinto in pratica due campionati: poteva mollare così? Impiegò tempo e risorse nel settore giovanile, convinta anche dell’utilità sociale dell’impegno sportivo. Nel frattempo i giovani crescevano e si stava riformando un gruppo abbastanza valido dal punto di vista tecnico. Feruglio ed i suoi collaboratori la convinsero che con qualche innesto mirato si poteva addirittura ripetere l’impresa del 1978. Lei allora si espose in prima persona, attirandosi anche qualche critica, ma riuscì a portare a Paularo i “pezzi” che mancavano, consegnando all’allenatore Ivan Gressani una fuoriserie. Gressani ci mise molto di suo ed alla fine del campionato 2004, nell’indimenticabile spareggio di Villa Santina contro il Campagnola, arrivò il secondo scudetto. Era quella la Velox che pur mantenendo una forte connotazione di “paularinità” era riuscita a coinvolgere chi veniva da fuori. Gente come Rudy Straulino, Stefano Vidoni, Raffaello Muser, bravi a capire il senso di appartenenza a un posto particolare come solo Paularo sa essere in Carnia. Quel titolo fu un momento di emozioni forti e spontanee, con la dottoressa che volle farsi la foto con tutti i componenti di quel gruppo, dal massaggiatore al più giovane dei ragazzi in panchina, perché quello, davvero, come amava ripetere, fu lo scudetto di tutti.
Quella vittoria rappresentò la fine del suo ciclo (e che ciclo!) con la Velox. Ora di lei, scomparsa nel 2014, rimangono i ricordi e una targa al campo sportivo della “sua” Paularo, col campo sportivo che porta il suo nome, quasi a voler rendere indissolubile il rapporto tra lei e la Velox.
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